lunedì 13 agosto 2012

Spazzar via le ombre, un'impresa quasi olimpica

Firenze, qualche anno fa
Negli ultimi 40 giorni mi sono messa alla prova. Volevo vedere se ero in grado di "fare pulizia" intorno e dentro me. Ho approfittato di cambio di look alla casa. Non ho traslocato ma quasi. Gli imbianchini hanno ritinteggiato casa e noi abbiamo commissionato a dei traslocatori un togli e metti mobili. La sottoscritta ha svuotato casa, l'ha impacchettata e divisa tra garage e cantina. Ho messo mano a 6 anni di vita un po' distratta, fatta di accumuli e inutili ciapapuvra (soprammobili in piemontese) e li ho buttati, ripuliti, regalati, accantonati per il mercatino dell'usato. È stato terapeutico, molto terapeutico. L'allergia alla polvere e l'imbarazzo per il "degrado"(solo il Sig. Renato sa cosa c'era sui pensili della mia cucina) mi hanno riportata alla realtà. Se avevo qualche dubbio, un incidente domestico occorsomi stamattina, mi ha dato l'ultima sveglia: "Le cose le devi farle subito, sennò sono cxxxx!". Nello specifico una libreria del '700 non fissata al muro potrebbe ucciderti.
Una quarantena che mi ha permesso di riscoprirmi, di crocifiggermi e a tratti assolvermi. Avevo bisogno di un cambiamento e a partire dal colore alle pareti sembra che una ventata di idee nuove sia arrivata. È l'atteggiamento che è cambiato, è come quando esco dalla doccia rinfrancata e coccolata dal profumo di bagnoschiuma, mi sento una persona migliore.
Poi di cose da aggiustare ce ne sono un'infinità. La lista è lunghissima, ma poter pensare "Credevo peggio" è già una vittoria.
Sarà lo spirito olimpico, sarà che ho preso coscienza di molti miei errori, non solo di massaia... ho deciso che voglio vincere, fosse solo salire sul gradino più alto del podio degli internazionali di pulizia vetri...
Ognuno di noi ha le sue ragnatele e i suoi mostri dell'armadio. Ci sono cose che sto elaborando e forse sto aspettando il dolce giusto per raccontarle.
Le ombre pian piano svaniscono, alcune se ne sono già andate, altre ci vorrà un po'.
Le ombre fanno male al cuore, e io non ne voglio più.

Non ho però appeso il minipimer al chiodo. Ho prodotto (anche in compagnia), fotografato e preso appunti.
Devo solo trovare il cavo che collega la compatta al computer... in quale scatolone sarà?

Indispensabile per me in questo momento: "La via dell'artista" di Julia Cameron, ed. Longanesi, 24€ (in rete 22).

mercoledì 4 luglio 2012

Torta di carote, someone like me

A vederla non le dai un soldo bucato
Mi aggiravo tra i libri di cucina. Fatta, già vista, uffa non ho niente da cucinare (versione gastronomica del "non ho niente da mettermi"), le creme d'estate non mi sembra il caso, questa torta dovrà fare 200 km: troppi pensieri. Poi mi si è accesa la classica lampadina, un insight per dirla alla Gestalt: cos'ho nel frigo? Carote in abbondanza. Pronti via. Nel mio vagare notturno tra le pagine del Volume Torte de "L'enciclopedia della cucina italiana" di Repubblica avevo visto ben due ricette con l'arancione. Leggo la prima, mi piace ma allo stesso tempo mi spaventa un po'. Un ingrediente misterioso, una preparazione insolita e molti punti interrogativi.
Cosa ci serve? 250 gr di carote, 10 gr di farina, 250 gr di zucchero semolato, 6 uova, 100 gr di fecola di patate, 20 gr di burro, sale, le zeste di 1 limone bio, sale, zucchero a velo. Attrezzatura: una ciotola grande, una piccola, un piatto per le carote, grattuggia, una tortiera, fruste elettriche, cucchiaio, leccapentola.
La prima scoperta è che grattuggiare 250 gr di carote non è una seccatura ma bensì un valido esempio di come scaricare le tensioni accumulate. Grattuggia che ti passa sarà il mio nuovo motto. È stato liberatorio. Consiglio di grattuggiare il limone subito dopo e tenere tutto insieme. Preriscaldate il forno a 180°.
Fate una crema con i tuorli, lo zucchero e un pizzico di sale. Aggiungete la fecola e successivamente le carote e le zeste. Meraviglia e stupore. Il limone e la fecola giocano ai piccoli chimici e l'impasto prende vita. Sfrigola, fa bollicine. Inaspettatamente diventa divertente e profumatissima. A parte montate gli albumi a neve ferma. Aggiungeteli al composto.
A questo punto della ricetta mi sono guardata intorno e i conti non erano corretti. Benché avessi letto più volte la ricetta prima di buttarmici a capofitto, il mio cervello abitudinario continuava a guardare burro e farina chiedendosi perché fossero ancora sul tavolo e non già nella ciotola. Contemporaneamente un tarlo. La potenza addensante della fecola basterà a fare di questo impasto liquido e colorato un dolce?
Proseguiamo. Prendete la tortiera e imburratela con cura, tutta, senza lasciare buchi e arrivate fino al bordo. Per concludere, la farina. Deve adagiarsi sul fondo di burro in modo uniforme.
A questo punto si può versare l'impasto, prestando cura nel livellarlo.
Cottura a 180° per 30 minuti, forno statico. Il ventilato asciugherebbe troppo.
Mi sono messa lì a spiare. Guardavo incredula la tortiera e poi il timer: non ce la farà mai. Come un giocatore della sala corse, camminavo avanti e indietro per casa scuotendo la testa. Non si addenserà mai e mai più. Ho un alternativa? Posso mettere su un altro dolce in tempo? Avrò abbastanza uova? La Iaddina trilla. Miracolo. Quell'impasto lì somiglia verosimilmente a una torta. Sforno. Tocco leggermente la compattezza. Non ci siamo ancora, il libro dice un'ora e trenta di raffreddamento.
Vado a dormire.
Il mattino dopo mi catapulto in cucina e la mia torta, pur rimanendo sofficissima e delicata si è staccata dalla tortiera. Un consiglio. Mettetela su un piatto di portata, non lasciatela nella tortiera. La consistenza è così delicata che potrebbe fare fatica nel taglio.
È tutto pronto, si parte. E lo zucchero a velo? Non serve, è bella così.

Perché questo dolce mi ha colpito?
Ingredienti proletari, preparazione semplice e un po' rude. Spiccia nel pensiero, lunga nell'attuazione.
È una torta che se la guardi pensi, speriamo almeno sia buona. Guardando me: speriamo sia almeno simpatica. La torta di carote non se la filano in tanti. Se dici che somiglia alle Camille del Mulino Bianco hai qualche possibilità... altrimenti rischia di fare tappezzeria come me, in tanti anni al pub.
Con un po' di superbia dico questa ricetta vince sulle Camille 12 a 0. È buonissima.
Io non sono buonissima e non vinco mai ma... certe volte, quando nessuno mi guarda mi stacco dal muro e qualche magia riesco a farla.
Questa è la MIA TORTA. Mia... come la canzone preferita, tanto per intenderci.
Mi sono intenerita guardandola, bruttina e poco commerciale. Mi sono guardata allo specchio e intenerendomi ho pensato la stessa cosa di me.
Né io né questo dolce saremo mai una Mont Blanc o una Sacher, ma vuoi mettere con la soddisfazione di essere un prodotto di nicchia?
(questa parte di battuta è probabilmente rubata a Luciana Littizzetto).

Ringrazio in ordine sparso, lo Chefinformatico per lo sforzo, la MiaFata per l'affetto, l'Omino dei Cantieri per l'amore.
Al mio Cute Faun dico questo: "non possono non piacerti i dolci, cxxxx. Mo' lo dici?". Che disperazione!

Muffin Pere e Gongorzola, incursione salata parte 2

... quant'è buono il formaggio con le pere!
Era un po' di tempo che giravo intorno a quest'idea. Ma chissà, magari piace solo a me, e poi se non piace ci rimango male, e se, e poi, e ma, e forse. Mi sono annoiata da sola.
Così senza dire niente a nessuno, nemmeno a me stessa, ho deciso autonomamente dosi, ingredienti e compagnia cantante. Il risultato è stato piuttosto soddisfacente anche se qualcosina da aggiustare c'è, la consistenza, per dirne una. Vorrei più leggerezza ad ogni morso.
Cosa ci serve? 230 gr di farina, 200 gr di gorgonzola dolce, 250 gr di pere Williams a pezzettini (intere sono circa 360 gr), 8 gr di lievito in polvere per pizza e pane, 2 uova, 125 gr di yogurt biango, 100 gr di burro, sale, olio. Attrezzatura: ciotola grande, coltelloche taglia, tagliere, stampini per muffin, cucchiaio, leccapentola.
Senza raccontarcela tanto... fare i Muffin è semplice, è quasi come fare una torta, è la forma che cambia,  tutto lì. Nella ciotola grande farina, lievito, uova precedentemente sbattute, yogurt e il burro fuso solo quando si è raffreddato. Aggiungete le pere e infine il gorgonzola tagliato anch'esso a pezzettini e per concludere, il sale. Amalgamate bene. Lasciate riposare il composto almeno per 15 minuti.  Oliate leggermente gli stampini, almeno dormirete sonni tranquilli e senza incubi sulle possibili attaccature di impasto. Aiutandovi con un cucchiaio da minestra riempite ogni stampino. Non so se è umanamente possibile gestire equamente pere e formaggio, a qualcuno capiterà più frutta, a qualcun altro più muffa!
Preriscaldate il forno a 180°. Quando si spegne la lucina rossa (la mia è così) e l'aggeggio del demonio è arrivato a temperatura, infornate. 15 minuti ventilato, 20 statico. Se vedrete sfrigolare il formaggio non allarmatevi, è tutto sotto controllo. Una volta spento il forno tutto tornerà alla normalità.
Trascorsi i minuti necessari appoggiate gli stampini da qualche parte a riposare. Ehi tu, giù le mani, se provi a staccarli ora ti ustioni e li rompi, capito? Basta un quarto d'ora, ma se aspettate il doppio del tempo male non fa. Una volta liberati potete servirli ma... sentite qua cosa vi dico: se li mettete in frigorifero e li servite il giorno dopo, il volume degli applausi aumenterà. Date retta ammè.
Gli assaggiatori di questi Muffin sono stati praticamente solo uomini. Che la dose di testosterone in me sia troppo alta, vista la condivisione di gusto? In ogni caso il parere è stato unanime: più gorgonzola per tutti. Non fate come me, se vi piace abbondate, non siate timorosi!

Ringrazio, in ordine di apparizione e di suggerimenti: l'Omino dei Cantieri, Cute Faun e l'Angelo dei Sallui.

Pollo, ananas e riso venere, incursione salata parte 1

Un pizzico di romanticismo
C'è un castello vicino a casa mia. C'è un tenutario affascinante che sfama i locali. Andando a cena da lui, nella sua locanda dal sapore prettamente risaiolo, ho affinato il mio gusto per certe pietanze e come si evincerà da questo post, ho tratto ispirazione a mani basse. Si potrebbe parlare di furto di ricetta: riesco ad autoscagionarmi per l'aggiunta del pollo ma l'idea arriva da Oryza, a loro tutto il merito.
Mentre cucinavo per chiunque, sfornando dolci dolci e qualcosa di salato, mi sono resa conto che culinariamente parlando ho riservato bene poca attenzione al mio Benjamin Malausséne (l'Omino dei Cantieri). Lui corre e su e giù per corridoi e autostrade, lui gestisce le tormente emozionali prodotte dai suoi vicini di autoclave, lui rimedia per quel che può, lui ingoia rospi per mestiere: e io?
Ben poco. Così, in preda al senso di colpa matrimoniale decido che quella sera lì, avrebbe avuto il suo piatto. Sono mancate le bollicine ma fa uguale.
Siamo una coppia da tantissimo tempo, abbiamo superato guadi e ponti precari, abbiamo combattuto draghi e sciolto incantesimi e siamo ancora qui. A volte traballanti ma ancora in piedi.
E cosa fare per dire a quell'uomo che ci sono, che brontolo ma lo amo pazzamente? Il mood degli ultimi mesi mi ha portato ai fornelli. E così cena romantica per due, nella mia fantasia.
Cosa ci serve? 120gr di riso venere, 200 gr pollo, 230 gr di ananas a fette (in scatola al naturale), 10 gr di pinoli, mezzo gambo di sedano, olio extra vergine, salsa di soia, sale.
Una wok o una padella capiente, una pentola per bollire il riso, un piatto per ospitare pollo e ananas, tagliere e coltellochetaglia.
Qui il coltello è davvero importate, deve tagliare per davvero. Ricordate, fa più dita mozze un coltello mal affilato che una genetica maldestraggine.
Voglio essere onesta, ho usato il riso Gallo. Me ne vergogno ma quello c'era. Pentola con abbondante acqua salata, 15 min di cottura dopo la ripresa del bollore e ci si toglie il pensiero. In una wok ho messo a scaldare l'olio, nel frattempo ho tagliato a dadini il pollo e l'ho tuffato nella pentola per sigillarlo. Dopo un minuto di cottura a fiamma altissima, l'ho abbassata e ho messo l'ananas tagliato anch'esso a pezzettini. Ho aggiunto il sale. Dopo sette minuti ho rialzato la fiamma, ho messo una generosa quantità di salsa di soia e ho aspettato qualche secondo perché rapprendesse la bagna. Ho tolto tutto dal fuoco accomodando pollo e ananas in un piatto. Il bello di queste preparazioni è che non è necessario utilizzare 20 pentole: ne basta una. Passo sotto l'acqua la wok, l'asciugo con la carta assorbente e la rimetto sul fuoco altissimo per far tostare i pinoli. In essi si potrebbe nascondere un velenoso inquilino e una tostatura veloce scongiura un mal di pancia. A questo punto il riso dovrebbe essere quasi cotto. Una volta scolato lo si unisce al pollo, ai pinoli e al sedano tagliato a pezzettini piccoli. Un cucchiaio di olio perché non si ammappi e una volta raggiunta la temperatura ambiente si mette tutto in frigorifero per qualche ora. Questo piatto si esprime al meglio freddo. Anche se assaggiando qua e là durante la preparazione vi renderete conto che è magnifico a qualunque grado celsius!
Come ho scritto questa non è una mia geniale intuizione. È frutto della sapienza e della cura che lo staff di un ristorante mette a disposizione dei propri clienti ogni giorno. Da massaia copiona ho deciso di rivisitarla a modo mio, creando  un piatto unico che risolve qualunque serata o qualunque pranzo del giorno dopo.

Malausséne arriva a casa stanco e umidiccio. Sbircia sul piano di lavoro e vede solo dolci. Gironzola per casa ma trova cibo per altri. E la cena? Apre il frigorifero e in un angolo ritrova il sorriso. 
Quei colori lì li conosce bene. Sono anni che ci raccontiamo che prima o poi avremmo rubato l'idea al Tenutario del Castello. Beh, sono arrivata prima io. Mentre lui, affaticato come un mulo sugli impervi sentieri nepalesi, si dirige verso uno iodico pediluvio, la sottoscritta prepara il tavolo.
Niente candele, niente fiori, noi (lui) non siamo quel genere di coppia lì. Siamo (lui) sul genere Sparta.
Squilla il suo telefono più volte, lavoro, problemi e racconto degli stessi. Il mio piano per una serata romantica è andato a carte quarantotto in dieci minuti. Fa uguale: noi donne di Sparta siamo abituate. Sullo sfondo un cleenex accoglie una mitigata accondiscendenza.


giovedì 28 giugno 2012

Precisazioni sulla pasticceria da blog

Cose belle
Necessito di fare alcune precisazioni, visto il ripetersi di alcune domande.

Prima di sei: questo blog non ha fini commerciali. Non vendo dolci: cucino e distribuisco viveri zuccherosi. Stop. Non ho introiti di nessun tipo da questa divertente avventura. Se non fosse chiaro, pasticcio a spese mie.

Seconda: sì, cucino per gli amici, le persone care, per chi ha bisogno una torta di compleanno. Perché mi va, perché mi piace.

Terza: Psyco perché questo non è solo un cammino verso l'acquisizione di abilità culinarie ma anche e soprattutto un percorso interiore, volto a scoprire e riscoprire qualcosa di me che si era perso o non ancora emerso. L'impegno a fare qualcosa, a seguirlo costantemente e a spenderci del tempo, mi obbliga a tenere una rotta, attraverso regole, prove ed errori. Mi consentono di migliorare capacità cognitive, a sviluppare la creatività e a dominare l'ansia.

Quarta: ma l'hai scritto tu? Sì. È tutta farina del mio sacco. Per restare in tema. Le uniche cose che riporto fedelmente, quando utilizzo ricette altrui, sono le dosi e dove mi sembra il caso, i consigli.

Quinta: perché non scrivi? Lo sto facendo. A casa mia questo si chiama scrivere. Non voglio percorrere altre strade a meno che una casa editrice non mi contatti come succede nei film. Amo scrivere da quando ho imparato a farlo. È terapeutico, liberatorio e il blog mi offre la possibilità, che in altri contesti non mi è stata concessa, di esprimermi con il mio stile. Con le parole obsolete, similitudini, metafore, riferimenti al mio vissuto e a quello di altri, con le parole sbagliate volutamente, con iperboli che con  anni di Pennac e Benni mi sono entrate nel sangue.

Sesta: perché racconti i fatti tuoi? Innanzitutto per me, per elaborarli. Finché una cosa non è scritta o non è detta, o non è condivisa, per me non è vera. Ovviamente per motivi narrativi, qualcosa viene amplificato, modificato o edulcorato, ma fa parte del gioco. Ma come tutte le storie, anche le più inverosimili hanno una base di verità. Ho la speranza che mettendo in rete questi piccoli e logorroici messaggi in bottiglia, oltre ad aiutare me stessa, io possa essere utile a qualcuno che tribola con il forno o con i propri pensieri.

Spero di essere stata esaustiva, spero di aver risposto in modo chiaro alle curiosità di alcune persone.
Per altro chiedete...

lunedì 25 giugno 2012

Macaron proletari alle mandorle, sliding doors

I nostri Macaron
Cosa sarebbe successo se Caterina de Medici non avesse portato in dote al suo Enricuccio di Francia i Macaron? Cosa sarebbe successo se il treno fosse stato in orario e lo Chefinformatico ed io non ci fossimo interrogati sul possibile assalto all'intercity?
La pasticceria francese sarebbe più triste e Parigi avrebbe  un vessillo in meno. La sottoscritta non sarebbe qui a raccontarvi di questi piccoli esemplari da boutique orafa, perché non avrei conosciuto la MiaFata.
Le porte, nell'ultimo anno, si sono aperte e chiuse molte volte. Il significato recondito delle scelte del Destino non sono ancora chiare ma di certo non hanno precluso né la voglia di sognare né la voglia di cercare altre strade. Parlo al plurale perché con la MiaFata condivido, gestisco e organizzo tanti dei miei sogni e tanto della mia vita. Ed è una delle poche persone che voglio in cucina: a casa mia vuol dire Fiducia con la effe maiuscola.
Siamo diverse. Molto. Ma così vicine all'assomigliarci che si cammina insieme da anni, senza inciampare.
Lei è Giovanna d'Arco. Io Cenerentola. Lei combatte, io tramo nell'oscurità. Lei scalpita. Io mugugno.
Lei prende l'iniziativa in tempi brevi. Io elaboro sul medio lungo termine. Insieme siamo un consiglio d'amministrazione perfetto. Siamo le Imperatrici del piano B. Le nostre biografie sono ricche di porte chiuse malamente e di qualche maniglia difettosa: ciò ci ha regalato la capacità di guardare oltre e di mettere insieme i pezzi, costruendo quelli mancanti con molta creatività.
La MiaFata sbarca nel mio regno dei fornelli verso il tardo pomeriggio. C'è una cena da imbastire, ma la vera questione è: "Facciamo i Macaron?". Dagli spalti una ola. Sono mesi che vogliamo provarci, singolarmente e pluralmente. Nigella fa capolino sorniona dallo scaffale. Impensabile fare quelli veri, quelli complicati, quelli da vera patisserie, simil Ladureè. La cuoca d'oltremanica di solito offre soluzioni agevoli a imprese complicate. Pronti, leggiamo gli ingredienti e come due Cappuccette Rosse, usciamo sfidando il caldo e l'umidità. Il cooperativo supermercato è a tre passi, l'aria condizionata è vicina. La lista della spesa è nella mia testa. Non è un buon segnale.
Scanzonate e libere da brutti pensieri vaghiamo per le corsie un po' così... stile gita fuori porta. Nella borsa più che il ricettario, paletta, secchiello e formine.
Ci raggiunge lo Chefinformatico e come i tre Moschettieri, continuiamo a riempire il cestino.
I pistacchi sarebbero l'ingrediente fondante di questa ricetta ma... io non ci sto. Ci sono 35 gradi percepiti e non ho nessuna intenzione di togliere gusci fino a Samhain. Vada per le mandorle già pelate.
Torniamo alla maison. Si parla francese, n'est pas, stiamo facendo i Macaron.
Nigella alla mano, prepariamo gli ingredienti. Quello, quello e quell'altro... gelo. Sono rintronata come una campana. Non solo non ho memorizzato le giuste quantità di zucchero a velo e non ho nemmeno un chilo di zucchero in casa per rimediare. Chefinformatico, scuote la testa e senza dir niente prende le chiavi della macchina e va a recuperarlo nella sua dispensa. Iniziamo bene.
Cosa ci serve? Per i Macaron (20 coppie): 75gr di mandorle, 125 gr di zucchero a velo, 2 albumi grandi, 15 gr di zucchero semolato. Per la crema al burro: 55 gr di mandorle, 250 gr di zucchero a velo, 125 gr di burro ammorbidito, 2,5 ml di aroma all'arancia. Attrezzatura: robot da cucina, fruste elettriche, 2 ciotole, leccapentola, sache a poche con beccuccio liscio da 1 cm, 2 placche da forno, carta forno.
Un consiglio spassionato: NON FATE QUESTA RICETTA IN ESTATE!!!
Prendete le mandorle e tritatele nel robot da cucina con lo zucchero a velo (125gr). Insieme diventeranno polvere simil cipria. Montate i due albumi a neve, compatti ma non fermi, unite lo zucchero semolato, e riprendete il lavoro con le fruste elettriche fino a renderli immobili. Test della ciotola capovolta. A questo punto preriscaldate il forno a 180°. Unite la polvere di mandorle con gli albumi e lavorateli doucement. Foderate le placche con la carta forno e riempite la sach a poche con il composto. In questo punto della ricetta è successo di tutto. Non so usare la sach a poche, l'impasto mi scivolava dal beccuccio (avevo quello sbagliato), mi si è appiccicato sulle mani allergiche... cose che non andrebbero né viste né raccontate: "Quello che importa è il risultato, n'est pas?".  Il come ci si arriva è interpretazione personale. Formate dei dischetti dal diametro di 3,5 cm.
Potete provarci anche con un cucchiaino da caffè. Si può fare ma... come lo Chefinformtico fa notare, si crea una bolla d'aria che non compatta bene l'impasto. Si suggerisce un corso intensivo di sach a poche!
Lasciateli riposare un po', in modo che si formi una pellicina. 10-12 minuti in forno, statico. Passiamo alla crema al burro. Si tritano le mandorle come prima, si lavorano al burro che con sti caldi è già diventato latte condensato e si aspetta il miracolo.
E già. La MiaFata ed io non brilliamo per autostima. Siamo sempre lì a guardare altrove pensando che sicuramente qualcun altro è più bravo di noi. E invece no. In questo caso siamo noi quelle brave, come in tanti altri casi. E diciamocelo almeno una volta. La MiaFata è lì che sbircia i futuri Macaron e quando  pigola la Iaddina, applaude perché... Et voilà les Macarons! La platea si alza in piedi: nel forno ce ne sono tanti e ben dorati. Li lasciamo riposare sulla teglia a temperatura ambiente. Ci vuole pazienza. Una volta raffreddati potete farcirli. Se fa caldo metteteli di corsa in frigorifero.
Nel fare questa ricetta, molte cose non sono andate per il verso giusto. Un po' come è capitato alla MiaFata e a me, in questi anni. Facciamo sempre lo stesso errore: ci fidiamo degli altri. Noi certe cose non le faremmo mai a nessuno... e di conseguenza perché qualcuno dovrebbe proditoriamente usarci, sfruttarci e darci un calcio nel sedere? C'è chi lo ha fatto. C'è chi ci  ha chiuso le porte quando il nostro Grande Sogno stava quasi per realizzarsi.
Tra una mandorla e l'altra ci siamo guardate in faccia. Ci siamo capite. Un'anno fa, di sti tempi, avevamo grandi progetti, grandi speranze.
Pulendo le ciotole, abbiamo sorriso. Sguardo complice, un cambio di rotta? Un nuovo Grande Sogno?
I Macaron sono pronti. Sono belli, quasi da non crederci.
Una bottiglia di spumante più tardi... La MiaFata apre il frigorifero e guarda i Macaron. Ce l'abbiamo fatta davvero: lei con le sue intuizioni geniali, l'aroma di arancia ha svoltato una crema al burro che sarebbe stata troppo dolce, io con la mia passione.
Tenaci e un po' pasticcione abbiamo spuntato, dalla lista delle cose "difficili" da fare, i Macaron.
Un simbolo, un feticcio, un qualcosa che per noi significa molto.
E da qui si ricomincia. Lasciamo sulla strada le Streghe cattive, le Piccole Fiammiferaie, gli Infausti Presagi e riprendiamo a sognare. Sia quel che sia. Il Destino sa già, da qualche parte è già scritto, che fosse a sessant'anni, o alla casa di riposo, i nostri progetti prenderanno forma magari cambiando destinazione.
Le parole a volte sono superflue. Raccontare di quanto io le voglia bene, di quanto io mi ritenga fortunata ad averla con me, di quanto siano belle le fragilità che solo tra amiche si mettono a nudo, di quanto io mi senta protetta in quel mezzo metro di altezza che ci separa... potrebbe essere superfluo ma oggi ci sta. La MiaFata, alta, bella e forte mi tiene stretta nonostante il caldo.
Prossima mission, questa volta, con temperature prossime allo zero, i Macaron veri, les ètoiles.

Dalla cucina urlo allo Chef: "Guarda su internet, non è che Ladureè ha già dichiarato fallimento?".
Una risata cinica mi dice di no. Ma nella mia fantasia, nel nostro piccolo mondo alternativo, Ladureè siamo noi, meglio ancora, Pierre Hermè al cubo. E chi ha orecchie per intendere intenda, due donne in credito con il mondo, se ben indirizzate posso cambiare una mano di poker con un colpo di mascara. 


giovedì 21 giugno 2012

Rebuilder, passare oltre e perdonare

Qualche anno fa

Mi sono sempre definita vendicativa, rancorosa, poco incline al perdono.
Mammamivuoibene e Papàsenzadna mi hanno sempre abbracciata durante le mie rivendicazioni contro il destino, i Cattivi e le brutture della vita. Perdona, mi hanno sempre detto. Perdona, datti pace.
Ho sempre detto no. Assetata di vendetta? Non esattamente. Di giustizia. Avrei voluto, negli anni, avere il diritto di dire a chi mi ha fatto tanto soffrire che, per l'appunto mi ha fatto soffrire. Togliendomi gioia e spensieratezza negli anni più belli di un infante. Avrei voluto mettere i puntini sulle I a tutte quelle persone che mi hanno detto: no, non sei capace, non ce la farai mai, se inadeguata, non hai le capacità. A quella persona che mi ha rinchiuso in un angolo, facendomi vergognare di quello che ero, di quello che sono.
Ringraziando gli Dei, la consapevolezza, seppur tardiva, da qualche parte spunta fuori.
Rebuilder e i suoi occhioni, ne sono stati gli inconsapevoli artefici. Anche questa volta.
Sono in arcidebito con questa donna. Nessun Tiffany potrà mai ripagarti, ma se lo vuoi te lo ordino su internet.
Chissà perché ho rispolverato qualcosa del mio passato tra il Reformer e la Cadillac. Salta fuori che una delle mie Streghe Cattive, ha faticato in quella che per me era un'isola felice.
Non l'ho presa bene. Ho avuto paura. Paura di incontrarla. Paura che tutta quella mia voglia di giustizia potesse saltar fuori in un luogo dove la pace regna sovrana.
La lezione si è trasformata in una seduta di psicanalisi. E sul lettino, c'ero io.
Sudo, mi affatico, gli addominali lavorano mentre la mente ripercorre immagini che non amo rispolverare.
Rebuilder, animo nobile, mi propone il suo punto di vista. Se non fossi coinvolta in vicende dolorose sarebbe anche il mio. Non sono ipocrita e le mani iniziano a tremarmi. Rabbia.
Ci sto lavorando su ed è per questo che è così presente nella mia vita.
Mi guardo nello specchio. Ma voglio davvero avere ancora paura del passato? Voglio davvero restare imbrigliata in quei sentimenti negativi? Mi serve portarmi appresso la zavorra mia e di tutti gli altri esseri problematici che in cui sono inciampata? Ebbasta!
Hanno ragione la mia mamma e il mio papà (non bio): Datti pace!
E così farò. Pian pianino lo farò.
Sono rimasta scombussolata tutto il giorno. Ho riempito di colore un disegno che doveva essere leggero, ho tracciato segni pesanti con il pennello ove sarebbero state richieste ali di farfalla.
Ho fatto fatica a prendere sonno, e non era il caldo.
Quando si parte per una grande impresa c'è fermento. La preparazione, la strategia, i bagagli.
Mumble. I bagagli magari no. Un bel sorriso e tanti bei respiri.
Passo oltre, vado avanti. Perdono.
E mi riapproprio di me. Tendo la mano a quella bambina chiusa nel bagno della scuola e l'aiuto a rialzarsi.

Perché impugnare una spada, un insperato viaggio in me

Forse tra qualche anno...


Se scrivo "Who wants to live forever..." cosa vi viene in mente a parte la meravigliosa voce di Freddy?
Alla sottoscritta affiora velocemente l'immagine di Sean Connery che racconta a uno stralunato Christopher Lambert la faccenda dell'immortalità. A seguire combattimenti coreografici, rumore di ferraglia e urla liberatorie. Paesaggi scozzesi sullo sfondo.
Sono una non violenta. Mi faccio forte dell'articolo 11 della nostra Costituzione, credo nella legittima difesa (se è tale), non ucciderei nessuno per vendetta.
Detto questo le armi e le arti di difesa, hanno sempre avuto un certo ascendente su di me. Per bellezza, storia, l'abilità necessaria al loro utilizzo e perché difendono. Di essere difesa, di difendermi, ne ho avuto un gran bisogno. In passato. Questo, in confidenza, il vero motivo.
Mi sta capitando l'occasione di poter toccare con mano l'esperienza di "sguainare la spada".
In realtà, mi è stato concesso di impugnare a due mani uno Shinai rimaneggiato, propedeutico alla conoscenza dell'arma.
Mi sono ritrovata in un prato, tra profumo di costine e chiacchiere sugli europei, a scoprirmi mancina.
Un omone dagli occhi penetranti mi spiega i colpi, come pararli, come muovere i piedi, dove trovare l'equilibrio, il baricentro. Mi racconta come non farmi male. Lo guardo. Mi sento in imbarazzo. Non ho mai guardato nessuno così in vita mia. Mi ascolto, mi tolgo le scarpe e resto a piedi nudi nell'erba.
Trovo la posizione, carico il tiro. Mi avvento sul mio personale Ramirez. In testa una sola immagine, il mio Babau. Quello da estirpare, eliminare, sconfiggere. Per sempre. Un fendente. Il mio.
Parato, ovviamente.
Ramirez mi guarda: "Questa volta ti avrei colpito le mani. Fa molto male."
Riproviamo ma l'emozione è stata troppo forte, mi vien da piangere.
Ramirez: "Piangi, se vuoi. Respira, però. Sbagli perché non respiri".
E già. La fa facile lui. Respirare è uno dei miei annosi problemi. Spesso vivo in apnea. L'ansia mi aggroviglia polmoni e trachea. Mi fredda, mi paralizza i pensieri.
Posizione. Cerco di respirare. Io: "Fammi sentire il colpo, l'impatto, se no non capisco (da cosa mi devo davvero difendere, avrei voluto dire, ma lui già sapeva)".
Occhi negli occhi, respiro, carico il colpo. Fendente. Parato. Barcollo.
Ramirez: " Era a un terzo della potenza, erano di nuovo le mani. Più in alto."
Mi giro. Alla mia destra Amaninude, mi guarda intenerito. Lui sa. Lui l'ha già fatto e mi rasserena. Nei suoi occhi la pacatezza di chi le ha già prese per imparare, e le ha già date per difendersi. Scaccia con una smorfia del giglio il mio "non ce la farò mai".
Già. Più in alto. Alzare la testa. Guardare in sù.  Operazione complicata per me. Abituata come sono a guardarmi i piedi per non inciampare.
Respira. Respira. Apnea. Gli occhi di Ramirez mi fissano. Carico il colpo. Fendente. Parato. Mi sbilancio in avanti.
Ramirez: "Va meglio. Erano ancora le mani. Ricordati che non è una canna da pesca". Sorride poco.
Sconfiggere i mostri del passato pensando di prendere una carpa... sarà questo il mio destino?
Decisamente no. E non combatterò contro nessun fantasma dell'armadio.
Questo l'ho capito mentre mi stavo addormentando, con le spalle stanche e gli avambracci doloranti.
Non è un fendente o un tranciante ai danni di un avversario e che mi libererà dalle mie residue magagne.
Mi sono raccontata la trama di un film, è un'idea, un simbolo trito e ritrito, quello di fare un qualcosa per  risolvere qualcos'altro.
Sto giro lo faccio per me. Solo per me. Per migliorare la concentrazione, la percezione, la stabilità, per muovere i piedi come un pugile, per spaccare i polsi come un giocatore di baseball, per incanalare tutta l'energia che ho e che non ho mai espresso. Dominandola.
L'arte mi aiuta a livello psicologico a incanalare la rabbia, sì la rabbia. Inutile nasconderla dietro un dito. Quella che ho è rabbia. Fortunatamente si placa in cucina, scrivendo, litigando con gli acquerelli.
Rebuilder mi ha permesso di stare in piedi e di muovermi. Ramirez mi permetterà, finalmente, a trasformare la forza repressa in azioni coordinate e controllate.
Le onde iniziano a calmarsi e la Spada nella Roccia è lì che mi guarda.

lunedì 18 giugno 2012

Tortino di Kamut con pesche, la condivisione funziona

La sperimentazione mi regala gioia

Si sarà capito che dietro ogni ricetta c'è una storia, per la precisione, la storia di una persona?
Quando ho iniziato quest'avventura non lo sapevo che a ogni post sarebbe corrisposto il racconto di me e a loro malgrado, quello degli amici, conoscenti e nuovi arrivati. 
Questa ricetta nasce dall'esigenza di sfamare la sorella della MiaFata: Enchanted Skin.
Eskin, la chiamerò così per facilitarmi la scrittura, sembra arrivata da un'altra dimensione. Gli occhi chiari e lo sguardo indagatore, colpiscono, forse più della sua armonia. Capelli rosa e guardaroba in cui la Westwood e Balenciaga troverebbero ispirazione, sono la cornice a una donna difficile, per me da raggiungere. È intensa, pure troppo, per una come me che tende a invadere gli spazi altrui. Sottile e fluida, leggera come la sua libellula francese. Troppo per me. 
Mentre con la MiaFata, a parte qualche mese di studio e approccio, mi sono trovata a casa, avvolta in abbraccio che ha riempito vuoti affettivi grandi, con lei è tutta una strada in salita.
Mi aggiro attorno a Eskin come un yorkshire bisognoso di attenzioni, riporto ciabatte e scodinzolo gioiosa perché mi considera, perché mi ha aperto le porte di casa sua e del suo universo. Dovrebbe bastarmi. Invece no. Lo yorkshire che è in me soffre di soggezione nei confronti di quelle mani che hanno realizzato il proprio sogno, e dato vita all'immaginazione di altri. Con la sua passione, il suo talento e lavoro, rende "incantata" l'epidermide, e forse non solo quella.
Il bavoso quadrupede sa perfettamente che il mio essere... aspettate. La metafora giusta ce l'ho. Con lei mi sento il classico elefante in una cristalleria. Ho paura che tutta la mia gioia, la mia ammirazione possano stritolarla in qualcosa che lei non vuole.
Aggiro il problema. Cucino per lei. Lei che lotta con mille intolleranze e magagne. Lei che cucina per tanti, e prepara la maionese più buona del creato.
Occupandomi di dolci, e giammai lasciarla senza, dopo consulenza con Mammafatosa e la MiaFata, sto imparando a darle il dessert.
Ieri, con la mia seconda famiglia (dimezzata per problemi intestinali e di riposo), si è andati in gita. Per spade, ma ve la racconterò in altro momento.
Lì ad attenderci persone già viste ma non ancora conosciute. Persone che, guarda il karma, sono arrivate ora, quando ero in cammino per trovare soluzioni.
Comunque. C'era un dolce da preparare e io ho colto la palla al balzo.
Eskin si adegua, se può mangia se no, no. Accetta sempre di buon grado la versione ad hoc che le proponiamo ma... e se una volta mangiassimo qualcosa che può mangiare anche lei? Senza fare differenze? Ecco qui le mie tortine alle pesche. Con il Kamut. Buone, profumate e... senza quell'alone caratteristico di cartone ondulato che questo cereale porta in dote.
Cosa ci serve? 100 gr di farina di Kamut, 100 gr di margarina vegetale, 100 gr di zucchero di canna mascovado,  60 gr di zucchero semolato, 1 uovo grande, 500 gr di noci pesche, il succo di mezzo limone, 6 gr di lievito per dolci (con amido di riso), una tazzina da caffè di acqua fredda. Attrezzature: tagliere, coltellochetaglia, una casseruola, una ciotola grande, bricco per far fondere la margarina, cucchiaio di legno, stampo per dolci (ho utilizzato le mini tortiere di carta della cuki).
Prendete le pesche e lavatele con cura. Asciugatele sennò scivolano sul tagliere. Tagliatele a pezzettini, fettine, come siete più comodi. Attenzione alle dita! Sul fuoco piccolo, fuoco basso, fate scaldare lo zucchero semolato con la tazzina d'acqua, poi metteteci le pesche. Giratele ogni tanto, e per 40' lasciateli lì a cuocersi. A metà tempo, versatevi il succo del limone. Preriscaldate il forno a 180°. Nel frattempo, fate sciogliere la margarina e lasciatela raffreddare. Nella ciotola lavorate le parti secche (farina, zucchero e lievito) con l'uovo. Unite la margarina (non calda) e le pesche (raffreddate). Mescolate bene il tutto e assaggiate. Se il sapore del kamut è ancora troppo presente aggiustate con il limone. In questi casi è bene averne un po' di più. A questo punto scegliete lo stampo che preferite.
Mettete in forno ventilato per 15 minuti, 20 statico. La torta o come nel mio caso le tortine, risulteranno molto morbide. Lasciatele nel forno spento per altri 10 minuti. Consiglio prima il raffreddamento a temperatura ambiente e poi qualche ora nel frigorifero. Per il servizio, riportatele a temperatura ambiente.
Sono buone e ci si dimentica che c'è il Kamut. 
Eskin, ha apprezzato e tanto mi basta. 
Magari tra qualche anno riuscirò a vincere la distanza che c'è tra noi due, a raccontarle che la sua storia è avvincente, istruttiva e che la sua dolcezza arriva, a volte, come un temporale inaspettato.
Di quelli che colgono di sorpresa, regalando una risata grande e liberatoria. Di quelli che... alzi gli occhi al cielo e ti lasci andare. Finalmente.
Prima di quel dì... continuerò a gironzolarle attorno, carpendo segreti e nuovi spunti. Imparando anche da lei il tratto giusto per disegnare e la forza di essere se stessi. Il coraggio di portar fuori quello che si è e si ha dentro. 
E poi a tradimento l'abbraccerò forte... e forse smetterò di scodinzolare.

Plum-cake alle ciliegie, Dexter fammi da trainer

Maisonlassù interno giorno

Questo è il post giusto per raccontare del mio dolce. Un plum-cake alle ciliegie non è un fine pasto. Lo so, lo so, lo so. È da colazione, lo so. Considerati il caldo, i divieti vigenti in Maisonlassù e la trasportabilità, soluzioni altre ne avevo ben poche. Le ciliegie hanno dato la direzione.
Facevano capolino in frigorifero e mi dicevano: "usaci... siamo di stagione... guarda che poi non ci trovi più...". Come il fantasma del castello, lanciavano messaggi espliciti con preghiera di utilizzo: sarebbe stato un peccato non assecondarle.
Iniziamo con gli ingredienti.
Cosa ci serve? 250 gr di farina, 4 uova, 250 gr di ciliegie snocciolate (circa 300 da intere), 150 gr di zucchero, 150 gr di burro, 1 bustina di lievito per dolci, sale. Attrezzatura: ciotola grande, ciotola piccola per ciliegie, cucchiaio di legno, carta forno, stampo per plum-cake.
Non avevo mai fatto un plum-cake, o meglio, mi ero limitata a mettere l'impasto per una torta qualunque in quell'interessante tortiera. Errore! Il plum ha un procedimento diverso dalle classiche torte soffici... quindi prima cosa togliete il burro dal frigo e lasciatelo ammorbidire. Non vale poi farlo intiepidire nel forno o scioglierlo nel pentolino. Nonnorononnonò.
Le ciliegie oltre a essere belle come un paio di orecchini di rubini e diamanti, sono buone come, e forse di più, di un ottimo cioccolato fondente. Posto che imbrocchiate l'albero giusto o la confezione giusta al supermercato. Negli anni, l'Omino dei Cantieri è diventato l'indiscusso selezionatore di questi frutti. Con perizia, si sistema davanti alla cassetta del cooperativo e le seleziona una a una, chiedendo curriculum, stato di famiglia, albero genealogico e ascendente. Questa volta, ha scelto le Ferrovia, salite al nord direttamente dalla provincia di Bari. Scure, grandi, succose e dolcissime. Adorabili!
Fino al momento di snocciolarle, ovviamente. Sarò anche maldestra e un po' pasticciona  ma consiglio vivamente a tutti quelli che si cimenteranno in questa operazione di prendere delle precauzioni.
Dexter* è il protagonista di un libro e poi di una serie TV. L'ematologo di professione e serial killer nel tempo libero, il giustiziere di tutti i cattivi, per intenderci. Prima di levar di torno la sua vittima, mette cellophane, domopak e nastro americano ovunque. In questo modo, gli schizzi di sangue non imbratteranno nessuna superficie. Lui indossa guanti e parannanza di plastica. Ecco, appunto. Avrei dovuto fare anch'io così. Il risultato di questo mio non sistemare la location sono stati polpastrelli arrossati, maglia macchiata e piastrelle stile Pollock.
In breve, lavate con cura le ciliegie, snocciolatele e sistematele in una ciotola. Fate attenzione a non macchiarvi.
Preriscaldate il forno a 180°. Nella ciotolona lavorate a crema il burro e lo zucchero, aggiungete le uova e lavorate bene. Poi il sale, un pizzico, tutta la farina e il lievito. Raccogliete le ciliegie dalla ciotola, recuperate anche il loro succo e tuffatele nell'impasto. Amalgamate bene.
Carta forno nello stampo e via. Tutto il composto al suo posto. 50 min in forno statico o 45' ventilato. Il gioco è fatto e poi tocca pulire...
La tavolata di traslocatori ha gradito, Agilulfo se l'è mangiata di gusto ma... MammaC, guardandomi negli occhi ha dato voce ai miei pensieri. Le ciliegie non si sentono. È vero, purtroppo.
Sono pesanti e vanno a riposarsi sul fondo del dolce. 250gr sono pochini.
Mentre riassetavo la cucina ho fatto questa riflessione. Si potrebbe aumentare la dose, anche 350gr. Aumentiamo a piacimento, ricordandoci però che la consistenza cambierà, il plum risulterà più morbido. Di quei 350, 250gr li farei cuocere in padella con 50gr di zucchero per almeno 15', e li passeri al mixer, ottenendo una specie di purè. Dobbiamo però togliere 50gr di zucchero dall'impasto, se no... "Benvenuto diabete". I 100 gr rimanenti li sminuzzerei, tranne qualche metà lasciata lì per coreografia.
Proverò. In questo modo il sapore di questi splendidi frutti da gioielleria dovrebbe sentirsi di più.
Se vi venisse voglia di usare lo zucchero di canna fatelo. Colora il plum-cake e rende più rustico il dolce. Mascovado no, cambia la consistenza e dona al tutto quel sapore di liquirizia che confonde. Se lo utilizzaste... una bella spolverata di zucchero a velo aggiusterà in dolcezza.

* Dexter nasce dalla fantasia di Jeff Lindsay, in Italia lo trovate in libreria con il titolo "La mano sinistra di Dio" (Darkly Dreaming Dexter), edito da Sonzogno. Showtime produce la serie TV, di cui io sono addicted.

domenica 17 giugno 2012

Quiche ai finocchi, Agilulfo e il trasloco di Futuropapà

Gioie a tavola
Famiglia Lassù organizza traslochi. Oltre ai loro, ovviamente. Tranne i miei, purtroppo. Questa volta è Futuropapà che cambia indirizzo. Ci sono novità. L'Omino dei Cantieri è stato ingaggiato per un'operazione di smontaerimonta e io mi sono accodata. Come assistente.
Il viaggio verso quelle montagne che ogni mattina vedo dalla finestra è carico di attesa. Potremo riabbracciare quelli là, i nostri Mammalucchi preferiti, quelli che, senza di loro, non saremmo molte, troppe cose.
Enopapà e Futuropapà ci accolgono - invischiati in uno smontaggio cucina - con un panino con la mortadella e un bicchiere di Dogliani. Capito l'andazzo. Si trasloca in amicizia.
Mancano all'appello MammaC, Agilulfo, Futuramamma, l'altra casa... ci vorranno due armadi svuotati e un'auto pronta per il mercato del martedì, prima di ricomporre il quadretto familiare.
Con me a fare sauna tra le camicie Futuranonna.
Trasliamo verso la maison di Famiglia Lassù. MammaC è lì che armeggia tra piatti e bicchieri e mi abbraccia. Quanto tempo, troppo, per sentirmi a casa, tra le braccia di un'altra di quelle Sorelle con cui non condivido il Dna.
Sbaracco la mia borsa di vettovaglie: salato e dolce.
Ma sul tavolo arrivano mille altre leccornie provenienti da una Cuocafantasma, una donna che fa la pasta fillo in casa!!!! Non si è palesata ma è questione di tempo e le piomberò in casa per vedere se davvero esiste un essere umano (a questo punto penso sia aliena) che fa quella roba lì tra le mura domestiche. Pite e ciufte. Chiedo scusa al popolo Albanese per l'errata ortografia di queste meravigliose specialità. Rotoli (di pasta fillo) ripieni di carne e verdure, polpette schiacciate di carne impanate nell'uovo. Sullo sfondo Futuranonna attacca con la Meuza. Milza a tasca. Non dico altro.
La tavolata è ricca. Di anime e di cibo. Di fronte a me una coppia, Polliceverde e Capelligrigi. Lei si occupa di Agilulfo e delle piante (ortaggi compresi) di quasi tutto il villaggio, lui osserva, taglia l'erba e sorride, sornione sotto i baffi. Arriva il turno della mia quiche. L'assaggio è buona. Mi guardo intorno, si lascia mangiare. Futuropapà mi dice a bocca piena: "È la quinta fetta". Mi rassereno, lui è il cognato di CuocaFantasma. Melone, prosciutto, pomodori... sembra un pranzo di nozze.
È l'ora del mio dolce, ma non è questo il post giusto.
Caffè, ammazzacaffè, saluti e abbracci, gli Uomini e Futuranonna tornano al lavoro.
MammaC lavastoviglia, Agilulfo pisola e io mi intrufolo nel giardino di Polliceverde. Un piccolo sogno tra le montagne.
Il pomeriggio, uno dei più sereni dopo tantissimi abitati dall'ansia, scorre felice tra bambini, betomiere e ghiacciai che spuntano qua e là.
Futuramamma missing, ti dirò quanto sono felice per voi quanto prima.

Maisonlassù, ora di cena: gli avanzi "del matrimonio".
Agilulfo è pronto per affondare i denti in qualcosa. Pulito, lavato e deunghiato si siede a tavola e senza tante formalità morde la mia quiche. Gli piace. E per me la partita è vinta. Mi scapperebbe una lacrimuccia se non ci dovesse essere troppo da spiegare.
L'Omino dei Cantieri è stanco, è ora di tornare. MammaC protesta ma noi si va.
Un saluto carico di emozioni, di qualche promessa che spero di mantenere.
Enopapà e Futuropapà sono ancora in modalità trasloco, li saluteremo un'altra volta.
Qualche chilometro più tardi il Forte, nella sua potenza, mi guarda. Maestoso e discreto, mi racconta che in una giornata di sole, le magagne di una settimana un po' grigia si aggiustano.

Quiche di finocchi, cosa ci serve? Una confezione di pasta sfoglia del supermercato, 3 uova, 2 finocchi grandi, 250 gr di ricotta, 100 gr di parmigiano grattuggiato, sale e pepe. Attrezzatura: una padella, tagliere, coltellochetaglia, una tortiera, una ciotola grande, cucchiaio di legno.
Preriscaldate il forno a 180° e togliete dal frigorifero la pasta sfoglia.
Tagliate a fettine sottili la verdura e scottatela in padella per 5 minuti. Nella ciotola lavorate la ricotta, le uova, il parmigiano. Quando i finocchi si saranno raffreddati buttateli nel composto e amalgamate bene. A questo punto assaggiate. Salate e pepate a vostro gusto.
Accomodate la pasta sfoglia, già dotata di carta forno, nella tortiera, versate il composto al suo interno, livellate e chiudete i bordi con cura. Il resto lo fa il forno, 30 min ventilato, 35 statico.


giovedì 14 giugno 2012

La lamentela, uno stile di vita.

Leonardo
Si possono imboccare due strade. Quella della lamentela sembra essere molto gettonata. Ma come si dice dalle mie parti, alcune persone si lamentano di "gamba sana". Forse è per questo che da sei mesi a questa parte ho adottato il "non mi posso proprio lamentare". 
Si può scegliere di essere un peso agonizzante sullo stomaco di chi ti ascolta o guardare da un altro punto di vista (pensando alla Tina), la strada che ci si snoda davanti a noi.
Il rosaio da sgranare su questioni di lavoro, tasse, figli che non arrivano, malumori ce l'ho anch'io. Compreso quello riguardante i mali di stagione e non. 
Ho semplicemente fatto una scelta: quello di non rompere i gabasisi a nessuno, soprattutto a me stessa.
In passato, benché la mia biografia fornisse motivi validi per un monologo di ore sulle sfortune della mia misera esistenza, ho vessato amici, conoscenti e sconosciuti con le mie disavventure... il risultato: sono diventata quella malmostosa, quella che aspira al suicidio perché veste sempre di nero, quella incline alla tragedia, quella che tra un po' si porta jella da sola.
Dopo aver elaborato uno dei grossi lutti della mia famiglia, dopo aver scavato a lungo fino a conoscere tutte le talpe del creato, dopo essermi sentita uno schifo dopo l'ennesimo sfogo non richiesto, ho deciso che basta. Non ne potevo più, di me.
E così via, lasciati alle spalle i musi lunghi e le espressioni da intellettuale triste, mi sono messa a nuotare nel mare del "va tutto bene". Sarà suggestione, ma funziona.
Non è cecità nei confronti delle cose che potrebbero andare meglio, è questione di Rispetto nei confronti di chi i problemi ce li ha per davvero.
E parlo di chi veramente non ce la fa ad arrivare alla metà del mese, a chi ha veri problemi di salute, a chi è solo e non sa dove sbattere la testa, a chi davvero è depresso, a chi davvero non sa se arriverà al giorno dopo.
Questo mio nuovo modo di vedere la faccenda ha un risvolto inatteso.
Intolleranza e indifferenza verso chi si lamenta ma non fa nulla per migliorare la situazione, verso chi incolpa il mondo intero senza mettersi mai in discussione, verso chi ha sempre il bicchiere mezzo vuoto anche se il conto in banca pullula di zeri, verso chi dice di aver bisogno di aiuto ma non lo chiede.
Abbiamo tutti il diritto alla lamentela, basta che non diventi uno stile di vita.
Andare avanti guardando al bello che si ha. Il brutto c'è ma gira e rigira, in un qualche modo, si trova una soluzione.
Così mi permetto di dire una cosa a chi negli ultimi mesi si è arrogato il diritto di trattarmi male perché è frustrato, insoddisfatto, incapace di guardare oltre al suo orticello: va a ciapè di rat, vai a cacciare i topi, vai a quel paese. La versione francese di questo mio pensiero non la scrivo.
Mo' basta. 
Io ho avuto tanto fino qui. Nel bene e nel male. E ora va "tutto bene", e andrà sempre "tutto bene".



lunedì 11 giugno 2012

Muffin ai frutti di bosco e cioccolato, spazio all'improvvisazione

Il ramo di datteri è un omaggio

Non si va mai a casa degli altri a mani lunghe (vuote). Questo è uno dei dogmi di mia madre. Anche se gli altri in questione sono quasi una seconda famiglia, non mi andava di presentarmi senza qualcosa da condividere.
Imbastire un dolce sull'onda emotiva è sempre un rischio, soprattutto se non si è mai sperimentata l'idea che vaga tra le corsie del supermercato.
C'è da dire che qualcosa negli anni e soprattutto in questi tre mesi l'ho imparata. Questa volta non solo mi è andata bene, ma anche lo Chefinformatico che di solito schifa i dolci e arriccia il naso, nel pieno della sua bontà si è complimentato con me citando un pluristellato Michelin: " Ma l'hai fatto tu?".
Dall'altra parte del tavolo i conforti veri. La Mia Fata smezza un tortino annusandolo e mi sorride,  Queen of Proofs morde con serenità l'altra metà, Enchanted Skin addenta con charme la sua versione edibile e sentenzia: "Buono". 
Darth Winnie ne prende uno dal vassoio e si avvia all'inno nazionale. Ne resta uno. Chissà se è diventato la colazione del Cute Faun? A quanto pare no. L'italico pareggio distrae...
E Mammafatosa? Nemmeno lei ne ha morso uno. Mumble... così non va.

Cosa ci serve? 200gr di farina 00, 180 gr di burro, 190 gr di zucchero, 2 uova grandi 80 gr di cioccolato fondente, 200gr di frutti di bosco surgelati, 8 gr di lievito per dolci, un pizzico di sale, un cucchiaio di succo di limone, olio extravergine q.b.
Attrezzatura: una ciotola grande, cucchiaio di legno, coltello che taglia, tagliere, casseruola, pentolino per fondere il burro, stampini per muffin.

I frutti di bosco vanno fatti scongelare a temperatura ambiente.
Fate scaldare il forno a 180°. In una casseruola su fuco medio, bassissimo, fate "rosolare" i mirtilli, i ribes, i lamponi e le more per 4 minuti. Devono solo scaldarsi e buttar fuori un po' d'acqua.
Prima le parti secche nella ciotolona, poi le uova, e quando il burro fuso si è raffreddato, buttate dentro anche quello mescolando con vigore. Aggiungete i frutti di bosco e poi il cioccolato. Infine per  correggere il sapore una spruzzatina di limone e per concludere il sale. Mescolate con forza e amalgamate bene. Lasciate riposare tre minuti.
Preparate gli stampini. Sia che siano quelli di alluminio, che quelli di silicone (e basta dire che non si fa), io suggerirei un velo di olio, tanto per essere sicuri che non si attacchino. E parlo principalmente per il fondo degli stampini, dove rischiate di veder appiccicato il sedere del vostro muffin.
Tanto di calorie in questi dolcetti ce ne sono da vendere, non è per una lieve spennellata di grasso che va a merende la dieta! 
Abbiate cura di versare con attenzione il composto, soprattutto se usate uno stampo multiplo. La pasta nelle parti di raccordo brucia: se non la togliete fa puzza in forno e rovina il sapore dei muffin o chi per loro. 
180° C per 25 min ventilato, fate anche 30 per lo statico. Verificate sempre con lo stecchino.

Questi muffin rimarranno sempre un po' morbidi al centro vista la presenza di frutta acquosa, non fatevene un cruccio, sono cotti! 



Goldclippers, la mia Petnoira e lo stile Crudelia

Cruella De Vil

La nonna Ferru s'imbiancò presto. Forse i sagrin (preoccupazioni) forse i geni, le regalarono dapprima un ciuffo bianco in un folto castano scuro, poi un ciuffo nero in un corta foresta bianca. Mio padre, quello bio, patì il sale-pepe fin dai vent'anni, il mio Papàsenzadna non lo ricordo con i capelli diversi dall'argento.
Sul canuto di mia madre vige il Top Secret, forse solo la sua fidata parrucchiera conosce la verità.

E io? Ciuffi argento qua e là, ben prima dei 30. Dopo essere stata di tutti i panthoni possibili, tranne il fucsia e il verde, ho deciso che sia la natura a scegliere per me.

Seguendo la tabella di marcia del mio Restyling, chiamo la mia Petnoira (parrucchiera) e prendo appuntamento. Goldclippers, mi conosce da qualche anno e mi conosce per davvero. Sa perfettamente che in me alberga una vena di follia, e le sue forbici o le sue tinte non fanno fatica ad assecondarla.
Lei lo sa già. Ha percepito la mia necessità di cambiare. Non c'è bisogno di tanti bla bla bla.

Esco di casa, perfettamente truccata, vestita black casual e scarpe con zeppa. Vado in garage a recuperare la mia bici. La Sig.ra del piano di sotto mi guarda, ritirando la sua due ruote e,alzando gli occhi al cielo, sentenzia: "Forse sarebbe meglio rimetterla in garage". Indicando con il naso la mia bicicletta. Scuoto la testa e mi metto in strada. 500 metri e inizia a tuonare. Impreco contro la condomina jettatrice. 700 metri, goccioloni equatoriali. 1 km diluvio universale e non c'è nemmeno Noè per chiedergli un passaggio. Sembro una grondaia.
Arrivo da Goldclippers. Un astante mi guarda esclamando: "e la madonna", non so se per il trucco colato che mi dava l'aria da zombie o per l'acqua che muovevo ad ogni passo, ma in ogni caso dubito per la rassomiglianza con la cantante o con la Tenutaria del cielo.
Gold sbarra gli occhioni e mi intima di togliermi tutto lanciandomi una vestaglia da salone di bellezza.
Mi guardo allo specchio, penso a Diego (della Palma) e vorrei scrivergli: "i tuoi cosmetici possono quasi tutto". Il mascara è davvero water proof ma la matita no, cola come il caramello sulla panna cotta.
(scusate il pensiero ossessivo).
Torno da lei. Non si scompone mai, nemmeno di fronte a una faccia che sembra uscita da un film horror. Mi bacia e mi chiede come va. Mi sento a casa.
Prendo in mano la rivista dei tagli e le indico che quello sarà il taglio definitivo.
E il colore? Me lo chiede con gli occhi.
Questa volta no. Le spiego che vorrei assecondare mio ingrigirmi. Ho avuto la fortuna di avere in dote genetica, il ciuffo della Mia Nonna, con l'aggiunta di un isolotto in corrispondenza del corpo calloso. Li voglio così. Un po' Cruella (Crudelia), un po' Puzzola.
Lei mi sorride e dice: "Ci sto, ti sostengo".
Goldclippers, si mette all'opera e taglia. Senza chiedermi nulla sulla lunghezza e parliamo del più e del meno. Della cena che ci aspetta, delle nostre ultime avventure.
Sulla carta non saremmo dovute diventare amiche. Troppo diverse, agli antipodi, per certi versi ma... si sa l'amicizia colma le distanze e stringe legami anche dove non ci sono i presupposti.
Ci siamo capite subito, al volo. Negli occhi gli stessi anni in più, gentili doni di un passato poco agevole, nella testa quella voglia di sperimentare, di scoprire, di diventare donne non banali.
Abbiamo fatto da stampella l'una all'altra. Con affetto e con discrezione. Un abbraccio sereno e rasserenante che dura da anni.

Ne abbiamo fatte di tutti i colori e di tutti i tagli. Dalla sposina perbene alla Cruella, passando per Elisa di Rivombrosa castana, poi bionda, Ennie Lennox grassa e platinosa, fino alla Audrey Punk.
Acconciature e tinte che hanno segnato particolari momenti dalla mia vita. E a ogni zac di forbice, consiglio e comprensione di Gold.

Spesso si sottovaluta il rapporto con il proprio parrucchiere. Pensateci bene, affidate a qualcuno, un potenziale estraneo, la cornice del vostro viso, il vostro biglietto da visita. Il primo che si nota.
Con la famiglia e gli amici, la vostra Petnoira, è tassello fondamentale per la serenità psicologica.
Tinta e taglio sbagliati? Provate a guardarvi allo specchio e fatemi sapere quanto resistete senza farvi venire un attacco di panico.
Sono fortunata. Goldclippers ha in dotazione un'innata capacità di ascolto e di problem solving... che fanno già tanto. Ma ha un'arma segreta. Sa guardare oltre. Nello specchio vede davvero chi ha di fronte. Sa perfettamente che dietro una richiesta banale di taglio semplice e gestibile, di una tinta piatta e conformista, si nasconde una testa Rastafarian. Sa anche capire il momento. Sa esattamente quando far uscire dal guscio la natura della sua cliente. Sa rispettare i suoi tempi e le sue richieste... in attesa del primo pigolio.
Finito. Mi guardo. È esattamente ciò che volevo. Quella nello specchio sono io, finalmente mi ha trovata. Corto, molto corto il taglio, il mio castano è lì, nudo senza trucchi. Il ciuffo sbarluccica con discrezione, l'isolotto emerge pian piano.
Sono curiosa di vedere l'evolversi del mio grigio.
E poi fai tu. Frase che accompagna ogni mio giro sulla poltroncina. Fai tu.
Fiducia. Si tratta di fiducia. E conoscenza dell'altra. Empatia. Sintonizzazione.



Panna cotta e ossessioni jazz

Non c'è il due senza il tre
Sono rapita da un'orchestrina jazz. Clarino, contrabbasso, sax e batteria avrebbero dovuto trasportarmi altrove, lontano dai pensieri quotidiani. E invece no. La frusta sul charleston mi teletrasporta direttamente nel mio frigorifero. Laggiù dormicchia l'infame panna cotta.
Dopo le traversie della Pasta Frolla, pensavo che il resto del percorso, sarebbe stato più easy. Sbagliato.
Il mio viaggio nel mondo dei dolci al cucchiaio è iniziato con una "relazione complicata", per dirla alla FB.
Nella foto, il secondo tentativo, presentabile e accettabile ma non ancora eccellente (vabbè diciamo che mi accontenterò di un quasi perfetta!).
La Panna cotta, quella tradizionale, fatta in casa, senza l'ausilio di preparati è una bella sfida.
Il clarinettista ce la sta mettendo tutta, il contrabassista che usa l'avambraccio al posto dell'archetto dovrebbe colpirmi e farmi dimenticare le consistenze lattiginose, ma no. Sempre lì, a pensare cosa andrà storto. Già, perché, e correggetemi se sbaglio... in cucina uno se lo sente se qualcosa non sta andando per il verso giusto. Al di là delle insicurezze personali e dell'ipotrofica autostima, il sesto senso culinario si accende e nella maggior parte dei casi, la magagna si nasconde dietro l'angolo.

Il concerto in giardino si conclude con un brano dal titolo "Il margine". Quello mio di errore è molto vasto, quello per la riuscita di un dolce molto basso.

La ricetta per una panna cotta tradizionale è molto semplice, ma richiede tempo, va preparata  un giorno prima.
Vista l'esigua quantità di ingredienti e la loro particolare natura consiglio di spendere qualche euro in più acquistando panna di qualità, stile Elena, tanto per intenderci. Il costo del dolce lieviterà un pochino ma i vostri commensali ringrazieranno.

Cosa ci serve? 800 ml di panna, 250 ml di latte, 12 gr di colla di pesce, 200 gr di zucchero.
Attrezzatura: una casseruola, un cucchiaio di legno, stampini per budini o in alternativa uno stampo grande (acciaio, ceramica, meglio evitare i cuki).

ATTENZIONE: quando scegliete la panna e il latte accertatevi che non siano zuccherate. Il latte ad alta digeribilità contiene un agente zuccherante che altera il sapore del latte. Se usate quel genere di prodotto riducete la dose di zucchero a 120 gr.


In una ciotola mettete in ammollo la colla di pesce almeno per 15 min.
Nella casseruola versate la panna, il latte, lo zucchero nella casseruola. Mescolate benissimo. Sistematela sul fuoco piccolo e tenetelo bassissimo. Lasciate scaldare per 20 minuti.
MAI E DICO MAI LASCIAR BOLLIRE IL LIQUIDO, ERRORE TREMENDO.
Il consiglio-ordine di cui sopra è di fondamentale importanza. Se non si sta attenti e si sottovaluta questo passaggio, la vostra panna cotta saprà di latte fumè, e non importa se la filtrerete con attenzione nella speranza di eliminare quell'odioso velo che si è formato. È da buttare. L'ho scoperto a mie spese.
Passati i 20 min, togliete la casseruola dal fuoco, strizzate per bene la colla di pesce, tuffatela nel liquido e fatela sciogliere. A questo punto versate il composto nella forma che avete scelto.
Piccola nota sui contenitori. Sconsiglio vivamente i cuki alluminio monoporzione (quelli per i muffin) perché in questo particolare caso lasceranno alla vostra panna cotta un retrogusto di carta stagnola, la ceramica è splendida ma impiegherà molto di più a raffreddarsi, l'acciaio va benissimo ma imburrato o oliato (olio di mandorle) oppure fate come per i budini. Bagnate lo stampino con dell'acqua fredda in modo che formi un leggero velo. Su quest'ultimo passaggio nutro qualche perplessità.
Una volta riempiti gli stampini, e con queste dosi potete farne almeno 10-12 o forse più in base ai vostri contenitori, lasciate RAFFREDDARE A TEMPERATURA AMBIENTE, il tutto.
Questo è un altro punto cruciale. Non abbiate fretta, MAI. Se accomodate in frigo le vostre creature prima del tempo, la naturale patina che si formerà per lo sbalzo di temperatura sarà più spessa del dovuto e lascerà in bocca quel sapore di burro da fetta biscottata che non piace al palato. E il rassodamento ne patirà.
Adesso siamo nel frigo. Siamo? Sì, siamo, ve lo assicuro, ci entrerete anche voi. Come in un passaggio musicale ripetuto e alzato di un semitono alla volta, a ogni apertura di frigorifero le guarderete, e controllando che non ci sia nessuno, prenderete in mano un pirottino e controllerete la consistenza del vostro dessert.
Come l'acuto del clarino sbaraglia l'emisfero sinistro, perché incomprensibile, il pensiero di quella panna in progress vi trapanerà come un trarlo.
DODICI ORE, meglio QUINDICI. Questo il tempo di soggiorno nel frigorifero.
Non scherzo, i tempi sono questi.

Perché un calvario così, quando in commercio ci sono soluzioni più veloci?
Semplicemente perché il sapore è diverso. Al di là delle consistenze sulle quali sto lavorando e di cui vi darò conto, la dolcezza e la morbidezza della panna cotta, fatta con le vostre sante manine, è un piccolo regalo. Di quelli che sanno di buono.

mercoledì 6 giugno 2012

Lei che corre

Run Baby Run

Nel mio immaginario i Runner, come i Pugili, hanno qualcosa in più dei comuni mortali.
Si programmano, sanno che il quel momento lì della giornata l'asfalto o la pista accoglierà la loro corsa.
Ci vogliono fiato e fegato per continuare a correre, ogni settimana, ogni giorno, nella vita.
Posso solo romanzare la fatica e il sacrificio, le verruche ai piedi e i crampi.
Posso solo romanzare l'attimo perfetto in cui, controllati i lacci, il piede si stacca e il corpo si muove.

Vi vedo correre e penso che abbiate coraggio. Coraggio per la rilassatezza con cui dialogate con voi stesse per chilometri. La musica nelle orecchie difficilmente ferma il ronzio dei pensieri. 
Vi sento rimuginare sulla lista della spesa, sul capo ufficio distratto, su un cliente pesante, sulle vacanze ancora lontane, su quell'amore impossibile, sulla possibilità di quell'amore.
Ferme al semaforo non perdete il ritmo, siete lì. Ci siete davvero, sapete esattamente chi siete.
Con i vostri pensieri e con i vostri chilometri.

Il filo delle cuffiette va a tempo con i capelli legati, la vostra canzone preferita scandisce il passo e i vostri occhi guardano lontano. Un traguardo straniero, un altro trasloco, un figlio sperato. 
Disciplina e costanza, chi corre non fa finta. Il sudore è reale. La vostra bellezza scompigliata brilla.

Guardandovi correre vi ho finalmente riconosciute. Siete delle guerriere.
Probabilmente lottate, non solo, con la vostra resistenza, cercando di portarla oltre, ogni volta.
Dietro ogni passo c'è dell'altro. 
La passione, l'amore per se stessi, l'equilibrio. La rabbia, la delusione, qualche frustrazione.
O forse molto meno, il non ingrassare, il non perdersi sul divano, la voglia di correre, e basta.
 
E a ogni centimetro di strada dai un pensiero, un respiro.




martedì 5 giugno 2012

Il Fagiano e Diego: fase uno il make up.

Per solutori più che abili

Nel sonno mi è apparso un Fagiano, una Fagianessa per la precisione. Dall'araldica al mondo degli animali protettori, dall'antica Cina all'occidente cacciatore, questo animale ha significati ben precisi.
Viene chiamato "l'arma parlante", porta protezione, fecondità ma soprattutto è simbolo del rinnovamento.
Sia come sia, il mio inconscio che all'oggi lavora per la settimana enigmistica, mi ha voluto dire "it's time, l'è ura, è ora". L'infame ha aperto la mia mattinata che, nel dettaglio, guarda caso, è stata dedicata al primo step della mia "Ricostruzione". 
Dopo anni passati a dire a DonnaB, "sìsì poi passo e mi trucchi", sono arrivata alle vie di fatto, presentandomi addirittura in anticipo all'appuntamento.
Donna B si occupa di "Profumi e Balocchi", lavora in uno di quei luoghi dove una come me, sempre e comunque si sente fuori posto. Tra cosmesi e fragranze la sottoscritta trema per l'inadeguatezza. 

Entro, ovviamente guardinga, sai mai che si capisca che quello non è il abitat. 
Donna B mi accoglie fraternamente con un abbraccio che valeva già la giornata. Mi offre un caffè, anche la sua collega mi offre un caffè. Ok, ci siamo capite, vista la situazione ce n'era proprio bisogno.

Guardo DonnaB e le dico cosa voglio. "Sono pigra, non sono capace, voglio passare inosservata, deve essere una cosa che posso riprodurre a casa mia tutti i giorni, devo sembrare ordinata".
Lei mi sorride, mi fa accomodare alla postazione del trucco, un po' come se si trattasse di un camerino del teatro, con attorno italiani e francesi che danno il meglio di sé tra matite, rossetti e ombretti.
Smette di guardarmi con aria da chi ti vuole un gran bene e si sintonizza sulla modalità "professionista del settore". Dallo specchio mi rendo conto di essere in uno stato abbastanza pietoso. Occhi cerchiati come i panda, i miei però di blu, peli vari qua e là, sopracciglia da rivedere, arrossamenti localizzati e qualche puntino nero. Si salvi chi può.
Non mi viene dato il tempo di dire bah, che mi ritrovo cosparsa di correttore. Una magia degna della Strega di Biancaneve, solo chi è dotato di cattiveria e astuzia può produrre qualcosa che sia in grado di far quasi sparire anni di vita un po' così e di antistaminici! Il panda sparisce. Mi sento già pronta per il Red Carpet.
Si passa al fondo tinta, steso con il pennello in punti dove mai avrei immaginato. Posso andare alla serata degli Oscar. Ma siamo solo a metà.
Cipria, un mondo oscuro. Fard, il mio incubo. In quattro mosse quattro, DonnaB mi spiega come metterlo. Ho visualizzato della gran geometria e ha funzionato, ho capito finalmente come si fa.
Ombretto così e poi la grande e insuperabile magia: il trucco occhi.
Io di mio ce li ho piccoli. Abbiamo abbandonato il nero e abbracciato il grigio, e grazie al correttore e all'ombretto li ho più grandi di 2 cm. Mi sfuma la matita, me le passa tra le ciglia (sotto l'occhio) e poi il colpo di scena. La matita bianca nell'interno occhi. Tutte le donne del mondo lo sapevano già ma io no, è come quando ne "Il sesto senso" capisci che Bruce Willis è morto: la stessa incredulità e lo stesso sgomento. Mi guardo allo specchio e miei occhi, quelle fessurette stile cinghialotto di montagna non ci sono più: ora sono portatrice sana di occhi medi e vivaci.
Ma non finisce qui. Io il mascara l'ho sempre messo, ma non con tutta quella cura. Ora comprendo perché chi si sa truccare ha quell'espressione tra la pantera da abbordo e Greta Garbo pensierosa. 
Passiamo alle labbra. Le mie sono abbastanza importanti, meglio non esagerare. Dall'espositore di Diego (tutti lo chiamano per nome, faccio anch'io così) spuntano leggiadri dei gloss dai colori tentatori: rosso sangue, viola paramento e ciclamino sul balcone. Troppo per me, anche se dosato con cura rischio l'assunzione in tangenziale. Mi soddisfo con un color nudo, e un cicinin di rosa scuro(?).
Et voilà, terminè? No. L'arma più potente del mondo: il fissatore. Una spruzzata sul viso e non ti distrugge il terremoto nemmeno la doppia visione di Bamby e Titanic messi insieme!

"Sei libera", mi dice DonnaB. "Guardati, sei elegante e sofisticata". Stavo per commuovermi, quelle due parole lì mai al mondo sono state associate a me, "la scappata di casa" per definizione.
Non ho pianto, non volevo dare soddisfazione a quel mascara che ogni abisso affronta.

Mi sono guardata allo specchio. Sono bella. Sono ordinata. Sono in grado di passare inosservata ma con stile. Lo sciattume, di cui io sono notevolmente dotata, si nota. Un trucco normale studiato ad hoc si nota ma non ti fa chiedere: "se quella lì si è lavata la faccia stamattina".

Diego ora vive nel mio scrigno dei tesori e io sto scrivendo il ringraziamento per il Nobel!
Grazie DonnaB, mi hai aperto gli occhi non solo con il bianco e il grigio... 


lunedì 4 giugno 2012

Un fiore in una scarpa: l'adunata degli esperti

Orecchini mai messi
Cambiare è complicato. Sradicare le vecchie e a volte, Brutte abitudini, sembra così difficile da non riuscire a fare le valigie per partire.
Sono circondata da persone che sanno quello che vogliono e che si sono costruite, nel tempo, l'arsenale (scusate la metafora guerrafondaia) necessario per portare avanti il loro sogno. E io prendo esempio, mi appunto le cose e poi, dove non ce la faccio da sola chiedo aiuto.
Gli Dei mi hanno dato in dotazione amiche e amici che fanno mestieri utili alla mia mission. Grazie a loro e alla mia (spero)forza di volontà riuscirò a "trovarmi, delineare il mio grande sogno e realizzarlo".
Per far tutto questo, ma lo farò dovessi impiegarci tutta questa vita, ho necessità di sentirmi bene e soprattutto di volermi bene.
La ricetta non l'ho ancora scritta ma gli ingredienti ci sono.
Nella mia dispensa ho:

Rebuilder la quale da tre anni si occupa della mia mobilità e tra poco si ritroverà, come Michelangelo, ad estrarre lui dal marmo, lei dalla ciccia, un corpo degno di questo nome. A lei anche, il gravoso compito di ampliare il mio concetto di impegno, resistenza, controllo, disciplina... povera Rebuilder le farò fare anche lo strizzacervelli. Ma lei già lo fa e ha la l'eleganza di non farlo pesare!

DonnaB, confido nel suo amore da sorella saggia. Sarò anche acquisita ma mi vuole bene come se fossimo cresciute dividendo lo stesso secchiello e la stessa paletta. Confido nella sua immaginazione per mettermi in grado di uscire truccata ogni giorno, per creare quell' illlusione del sivedenonsivede, per vincere la mia colossale pigrizia, per capire i miei punti di forza e dimenticare quelli deboli, per darmi quel tocco in più che mi permetterà di non dire più questa frase: "meno male che sono intelligente e a volte simpatica... se no sai che tristezza". Anche lei fungerà da terapista occulto. Ci è abituata, lei fa la Guru lanciando messaggi subliminali.

Goldclippers, la mia artista dei capelli. Al di là della bravura, è in grado di entrare in contatto empatico con la persona che le si siede sullo sgabello e sa come accontentarla. Riesce a cogliere l'animo di chi le chiede tinta e taglio e lo mette in pratica. Le si dovrebbe dare la Laurea ad onorem in Psicologia per l'attenzione e l'ascolto, soprattutto per i saggi consigli. A lei chiederò di assecondarmi nell'ennesima follia.

Druido, con la sua sapienza ed esperienza spero riesca ad aggiustare senza chimica tutta una serie di magagne. Un grosso risultato lo sta già ottenendo e non smetterò mai di ringraziarlo.

Life Style, sarà chiamata ad operare tra un po'. Prima è necessario che il marmo venga scolpito, ma nel frattempo avrà il compito di elaborare il look che ho in testa da anni. Le chiederò tanta immaginazione ma sono sicura che ce la farà.

A sostenermi in questo lungo e tortuoso cammino, oltre agli esperti sopra citati interverranno a vario titolo tutta la mia Famiglia Allargata, avrò bisogno del vostro aiuto e di tanti calci nel didietro per non crollare sul divano!
Adesso toccherà renderli partecipi!

Tortine al cioccolato dal cuore morbido, una promessa mantenuta

Al mio Piccologenio
Piccologenio è alto quasi un metroeottanta. Piccologenio ha letto libri che io mai leggerò perché mi manca il coraggio. Piccologenio è la versione bella e intelligente del futuro Re d'Inghilterra.
Piccologenio osserva e riflette. Di quando in quando spalanca gli occhioni, un misto tra azzurro e grigio, e con una battuta alla Monty Phython lascia tutti di stucco. Lo guardo e l'unica cosa che mi vien da dirgli è: "sei troppo alto". Lui abbassa lo sguardo ad altezza Ziarintronata e scuote la testa con rassegnazione.
Non è mio nipote per Dna. Per amore sì, lo è.
Tempo fa gli promisi, utilizzando DonnaB, la sua mamma, come messaggero, che dal mio forno sarebbero uscite delle delizie al cioccolato tutte per lui.
Donna B, me lo ha ricordato qualche giorno fa. Il cuore di Zia si è spezzato, mi sono sentita tremendamente in colpa per tutta l'attesa, perché mai al mondo vorrei che Piccologenio pensasse che Ziarintronata si è dimenticata di lui. Giammai.

Tempo fa esplorando l'inquietante mondo di Nigella, oltre a scoprire la ricetta dei Brownies, addocchiai quella dei Tortini dal cuore morbido e pensai a Piccologenio.
Dopo aver fatto un bel respiro, e scacciati dalla mia cucina gli spiriti della Pasta Frolla, mi sono impegnata in una ricetta che... potrebbe diventare mezzo di ricatto o merce di scambio.
Nigella, ve lo dico a denti stretti, è furba. Propone ricette dall'esito pressoché certo, dal risultato osannato dalle tribune e dalla difficoltà possibile. La ringrazio ma non ditelo a nessuno.

Cosa ci serve? 50 gr di burro morbido, più quello per imburrare, 350 gr di cioccolato fondente di qualità, 150 gr di zucchero semolato, 4 uova grandi, un pizzico di sale, estratto di vaniglia (tanto non si sente), 50 gr di farina. Attrezzatura: 2 pentolini per il bagnomaria, una ciotola grande e una piccola, setaccio per farina, fruste, cucchiaio di legno, stampini per muffin o per budini. 
I tempi di preparazione coincidono con il tempo di riscaldamento del forno: 200 °C.

Sul fornello fate sciogliere a bagnomaria il cioccolato fondente tagliato a pezzetti. Lasciatelo raffreddare. Nella ciotola grande lavorate il burro a crema con lo zucchero. Nella ciotola piccola sbattete le uova con un pizzico di sale. Lentamente versatele nella ciotolona e mescolate con cura. Adesso setacciate la farina. No, non dite che palle che perdita di tempo che sbattone che noia. Guai a voi. Questo è forse il passaggio più importante, prima ancora di azzeccare la cottura. Se non la setacciate vi si formeranno dei grumi che nemmeno il minipimmer riuscirà a togliere, e se i grumi restano arrivano anche le bolle d'aria, i buchi nell'impasto e via discorrendo. Quindi, date retta a me, setacciate la farina, unendola con pace e felicità agli ingredienti precedentemente lavorati. Adesso amalgamate bene e unite il cioccolato. Mescolate con cura e otterrete una crema cioccolatosa capace di incollare anche il metallo. Pulite immediatamente se ve ne scappa qualche cucchiaiata sul piano di lavoro...
Imburrate gli stampini. Ne escono 14 forse anche 15. Anche se usate quelli di silicone imburrate ugualmente, non si dovrebbe fare, ma datemi retta, vedere il fondo di un dolcetto bucato perché un pezzetto è rimasto attaccato allo stampo non è bello. Nigella suggerisce di tagliare dei dischetti di carta forno per ovviare a questo possibile danno. Riempite gli stampini per 3/4.
Sistemate il tutto sulla placca e cuocete per 10 minuti statico, 8 ventilato.
L'ideale per godere a pieno del cuore morbido sarebbe servirli subito. Caldi e sciolievoli. Detto tra noi però, anche a ore di distanza mantengono quella cremosità interna capace di commuovere.

Esistono altre ricette che propongono questo tipo di dolce, alcune di esse permettono di avere un cuore che letteralmente si scioglie sfruttando shock termici: la mia non ha quella pretesa lì. E non aspettatevi quel risultato lì.  Se La Mia Compagna di Banco mi presta la ricetta ve la proporrò.

Crostatina al limone, l'arte dell'arrangiarsi

Non è un cheese cake!

Potrei raccontarvi questa ricetta facendo finta che tutto sia andato liscio e quest'immagine sia a testimonianza dei miei miglioramenti in cucina... sarei estremamente disonesta. Diciamo che come chef ho ancora chilometri da percorrere ma come casalinga in grado di trovare soluzioni alternative in tempo zero... ho le stelline da generale!

La mattina presto ha un fascino particolare. In una vita passata ero costretta ad alzarmi presto per lavoro:  non potevo però godermi i colori delle Alpi che vedo dalla finestra della cucina, non potevo godermi il silenzio interrotto soltanto dal canto degli uccellini. In vista di un dolce speciale volevo assicurarmi di aver il tempo di lavorare con serenità, quindi... sveglia presto.

La destinataria di questo dolce, in origine, una crostata al limone, è stata la famiglia dell'Omino dei Cantieri, nello specifico la sua mamma, mia Suocera. A lei devo innanzitutto la ricetta dell'Assassin Cake e in seconda battuta, molti spunti culinari e trucchi del mestiere. Il nostro è un rapporto complicato, abbastanza da copione, rientriamo nel preciso stereotipo della Nuora e della Suocera, ma so che ci vogliamo bene, a distanza. Volevo che avesse un fine pasto dolce e curato, buono e fresco. Il design però è cambiato in corsa...

Cosa ci serve? Per la pasta: 220 gr di farina, 60 gr di zucchero, 160 gr di burro morbido, 1 tuorlo, sale. Per il ripieno: 10 gr di colla di pesce, 4 uova grandi, 2 limoni bio, 190 gr di zucchero. Per la decorazione: mezzo limone e foglie di menta. Attrezzatura: fruste elettriche, 3 ciotole, un bricco antiaderente, fruste antiaderenti, cucchiai di legno, teglia per dolci diametro 24, carta forno, pellicola trasparente. Quasi un'ora per la preparazione, 30 minuti per il pisolino della frolla, 30 minuti per il raffreddamento della stessa dopo la cottura e 2 ore di rassodamento per il dolce in frigorifero.

Lavorate il burro morbido a crema con lo zucchero, aggiungete il tuorlo, un pizzico di sale e poi la farina. Una volta raggiunta la consistenza giusta, impacchettate la frolla con la pellicola e mettetela in frigorifero. In questo caso potete anche darle forma di palla, non ci sono da fare dei biscotti.
Con questi caldi e umidità varie non è semplice lavorare la frolla, consiglio la mattina presto, più in là nella giornata diventa moolto rischioso provarci. 30 minuti nel frigo. Una volta raffreddata stendetela, preriscaldate il forno a 180° per 25 min forno statico, 21 per il ventilato. Consiglio: bucherellate la base della frolla con la forchetta, evitate così inutili e dannose bolle d'aria.
Fate altro, non mettetevi a fare il ripieno ora. Esso andrà lavorato poco prima di riempire la crostata. Iniziate a prepararlo quando la frolla è già fuori dal forno. Eviterete che il succo del limone affiori in superfice.

Grattuggiate la scorza di 2 limoni, spremeteli e all'interno del succo fate sciogliere la colla di pesce. Sbattete 4 tuorli con 5 cucchiai di acqua fredda, aggiungete le zeste, 65 gr di zucchero, la colla di pesce. Tutto a freddo, ora passate sui fornelli a fuoco basso e mescolate con la frusta antiaderente. Ci vorranno tra i 4 e i 5 minuti. Quando la frusta sarà "velata" dal liquido, la crema è pronta. Lasciate raffreddare e mettete in una ciotola grande. A parte montate i 4 albumi con 125 gr di zucchero. La consistenza da ottenere è quella della meringa, mettete in conto 10 minuti di fruste elettriche ad alta velocità. Aggiungete delicatamente questo composto alla crema al limone, con calma e senza fretta.
A questo punto la frolla dovrebbe essersi raffreddata e pronta a contenere il ripieno. Versate il tutto nella base della crostata e via in frigorifero per due ore.

E io? Qual è stato il punto di crisi? Dovevo togliere la frolla dalla carta forno per posizionarla sul piatto di portata che sarebbe andato in frigo. Nell'atto di toglierla dalla gratella è collassata al centro e la mia crostata è andata in frantumi. Mi è venuto da piangere e ho incominciato il classico rosario "sei una pasticciona, ecco vedi non era ancora abbastanza fredda (è vero), non sei proprio capace di fare le cose fatte bene, ecc...". Guardo lo scempio e penso: ho un'altra frolla nel frigo, metto su quella e il gioco è fatto, guardo l'ora e no. Non avevo più tempo. Mi si accende la lampadina, guardando delle mini tortiere in carta da forno: farò delle mono porzioni e assomiglierà a un cheese cake. Prendo una grossa ciotola, ci sbriciolo la frolla e sistemo una manciata di briciole all'interno delle mini tortiere dal diametro di 10 cm. La base avrà uno spessore di mezzo centimetro. Appiattisco e schiaccio la frolla che, forte del burro al suo interno, si compatta e diventa "perfetta" per accogliere la crema. Faccio un bel respiro e con un cucchiaio grande (da portata) riempio i contenitori. Lo spessore della crema sarà di un centimetro e mezzo. Liscio e sbatto per aggiustare il liquido e via nel frigorifero verso la vittoria.

Nello specifico, 4 di queste crostatine dovevano affrontare un viaggio in auto di quasi un'ora e per assicurami che esse non diventassero yogurt per la strada, hanno "dormito" nel freezer anziché nel frigo. Le altre, distribuite tra gli assaggiatori di fiducia, hanno riposato nel frigorifero fino al momento della consegna.

Se fate la crostata toglietela dalla carta forno e sistematela sul piatto di portata. Se fate le crostatine, con una forbice e molta attenzione tagliate il contenitore per lo spessore in un punto, lentamente staccate il bordo e il resto vi seguirà: fate questa operazione appena togliete i dolci dal frigo, deve essere tutto molto freddo, se no vi si squaglia tra le dita.

Decorate a piacere con le scorze sminuzzate e le foglie di menta.

Dai resoconti dell'Omino dei Cantieri, la Suocera ha apprezzato ma... forte dell'abitudine allo "scaravoltiamo" ha sformato le mie piccole creature al contrario... si dice avessero il loro perché anche a testa in giù.