giovedì 31 maggio 2012

Muffin Futuristi al limone


Spesso sono timorosa. Dico la verità: spesso ho paura. Di non riuscire. Di non essere in grado.
Spesso sono spavalda. Presuntuosa e incosciente: mi butto. Che sarà, sarà. Al possibile fallimento farò fronte, poi. Elaborerò in seguito, forse.

Qualche giorno fa La mia Compagna di Banco, semiprofessionista in campo dolciario mi racconta come lei fa i dolci. Moltissimo light. Mi fa dono di idee preziose. Dubbi e tarli, in me. Le spiego che essendo io alle prime armi non mi posso permettere di spaziare con la fantasia, è indispensabile che segua pedissequamente le Regole e le Ricette della pasticceria fatta di tonnellate di burro e compagnia cantante, il momento della creatività alternativa... in quel momento mi sembrava lontano.

Quasi contemporaneamente vinco un caffè a casa di una delle donne che negli ultimi due anni mi ha disinibito l'emisfero destro del cervello: The Painter.
Lei, inutile dirlo, ha la leggerezza di un colibrì e lo charme di Audrey e un talento per l'arte che colpisce.
Mi ha insegnato a tenere la matita in mano, mi ha accompagnato in un percorso "quasi terapeutico" alla scoperta dell'artista (scritto in stra minuscolo) che giaceva addormentata in me. In poco tempo sono passata dal disegnare omini stilizzati e case cubiche a oggetti e facce degne (si fa per dire) di questo nome.
Il disegno mi ha donato una libertà insperata, è diventato per me un rifugio e un deterrente per l'ansia. Mi concede di guardare in me senza tante sovrastrutture e di esprimere il mio stato d'animo senza giudizio (il mio).

The Painter diventerà mamma.
Come tutte le future genitrici ha necessità di non appesantire lo stomaco e i miei dolci di certo non l'avrebbero aiutata.
Ieri notte mi si è accesa la lampadina. Stamattina presto, contro ogni aspettativa ho riacceso il forno, ho coraggiosamente preso in prestito i suggerimenti della Mia Compagna di Banco e ho prodotto questi Muffin Futuristi.

Cosa serve per 10 Muffin? 110 gr di farina 00, 115 gr di zucchero, 1 uovo, 105 gr di yogurt al limone, mezzo limone grattugiato, il succo di un limone, 8 gr di lievito per dolci, zucchero a velo. Una ciotola grande, un cucchiaio di legno, stampini per muffin in silicone. 
Prima le parti secche nella ciotola, amalgamate per bene, poi l'uovo, poi lo yogurt, le zeste di limone e infine il succo. Curate bene l'impasto dovrà essere liscio, senza grumi e abbastanza liquido. Versate negli stampini, forno preriscaldato e ventilato a 170°, per 16 minuti. Controllate comunque con lo stecchino.
I muffin risulteranno croccanti e ben dorati all'esterno e morbidi all'interno. Una volta raffreddati, buttateci su una bella spolverata di zucchero a velo.
Due raccomandazioni: limone biologico non trattato e yogurt di qualità. In questo caso ho scelto quello della Vipiteno prodotto in Alto Adige. Si lo so ci vuole il mutuo,  rispetto ad altre marche, ma il sapore e la consistenza valgono l'investimento.
Perché Futuristi? Per la forma, qualcuno dei miei muffin si è imbizzarrito ed è cresciuto trasversalmente,  assumendo forma non ben definita.
Per lo spirito con il quale li ho cucinati. Ho sperimentato. Mi sono buttata e a parte il risultato estetico discutibile, erano buoni. Spero un dopodomani di aver acquisito le competenze per gestire anche ingredienti diversi da quelli tradizionali.

Ringrazio sentitamente per aver assaggiato il mio nuovo esperimento Rebuilder e Fedele Scudiera che come al solito sono state oneste e complici assaggiatrici e anche DonnaB... che è a dieta ma... per me un o strappo alle regole lo fa.

mercoledì 30 maggio 2012

Wedding Cake, tu ti sposi e io mi commuovo.


Non ti preoccupare, manterrò il segreto finché non avrai spedito tutte le partecipazioni ma...
Sono stra felice per te.
Non vedo l'ora di commuovermi come una scema mentre dirai sì.
Se fossi in grado te la preparerei io la torta di nozze, ma ahimè ci vorranno ancora degli anni!
Ogni bene.

Sorellachevorrei, che vorrei e vorrei.

Anche se di anni ne sono passati quasi trenta, per me rimani sempre quella bambina bionda con i codini.
Siamo cresciute e adesso i codini ce li ha la tua prima figlia.
Quando mi dissi al telefono che saresti diventata mamma mi misi a piangere dalla gioia allarmando lo Spilunga (ex capo) e i colleghi nelle vicinanze. Sempre quel giorno lì, al cooperativo supermercato, strisciando il bancomat piansi e dovetti rassicurare la cassiera che era perché Sorellachevorrei stava per diventare mamma e non per lo scontrino.
Non serve elencare, raccontare, quante cose abbiamo fatto, disfatto, cucito e ricucito negli anni.
L'altra settimana stavo per telefonarti e chiederti perché non siamo andate a vivere insieme io e te, attorniate solo da figli e gatti, anziché separarci, per vivere con due maschi a volte senza cugnisiun (cognizione). Poi non l'ho fatto, ma la domanda spesso mi si ripropone.
Quella che ci avrebbe guadagnato di più da questa convivenza sarei stata io. Lezioni quotidiane di italiano, greco, latino, inglese, tecniche culinarie, spunti letterari a sfare, avrei imparato a cucire in men che non si dica, avrei goduto della compagnia di Figliechenonho e avrei potuto, egoisticamente, godermi, le due mani scriventi che più adoro su questa terra. Salvandomi tra l'altro da brutte compagnie e da persone "meravigliose".
Ma non è detto, confido nella casa di riposo... magari due stanze vicine.
Ricordati sempre questo: se tu non fossi stata nella mia vita, io non sarei quella che sono.
Guai a chi ti tocca e ti fa piangere, sono pronta a sfoderare gli artigli. Questo vale anche per il tuo inconscio che si nasconde. Non perché tu non lo voglia ascoltare, ma perché sa perfettamente che da me avrebbe un raclò (ramazzata di botte) certo e doloroso.
Ricordati sempre che se tu non avessi imparato le parole lunghe prima di me, io non le avrei mai imparate.
Che se tu non avessi idee brillanti, difficilmente il mio cervello si metterebbe a pensarle da sole.
Forte della mia invidia e del mio opportunismo, so che dove io non potrò mai, né per il passato né per il presente né per il futuro, tu potrai. E di quello, ne avrò un pezzetto anch'io.

Che tu lo voglia o no, sei empatica, socievole e introspettiva.
Non è facile dare la definizione di sé più bella del secolo.
Ricordati sempre che anche l'Oceano, visto da Saturno può sembrare una pozzanghera.
Caspita però, quanto è profonda.

La Mia Compagna di Banco, la Regina Elisabetta dovrebbe temerti!


Bella? Sì, ma non lo sa.
Intelligente? Tantissimo, ma se lo riconosce poco.
Forte? Più di qualunque lega conosciuta.
Mia compagna di Banco? Sì, per mia fortuna.

Come ho scritto nella pagina dedicata all'Esercito che da anni mi segue in questo cammino, Lei è uno dei miei punti di riferimento. Ha la capacità di affrontare la vita con apparente calma e discrezione, anche se dentro è un Vulcano. Da fuori... difficile immaginare il suo tumulto.
Nelle mie fantasie è capo di un Impero, e me lo immagino molto British. L'ironia che la Mcdb possiede, profuma di tea&biscuits, ed è ficcante come una battuta ben costruita: punge e fa riflettere.
Mi ha sempre trasmesso infinita serenità, che per un Caos camminante come la sottoscritta è decisamente tanta roba. È tra le poche persone che non mi ha mai fatto sentire fuori posto, e che negli anni ha saputo costruirsi una strada di mattonelle d'oro solida e coerente, a differenza di me.
Me la vedo gestire capitali, flotte, colonie all'insegna della solidarietà, della democrazia e del bene comune, con allegria. La sala del trono è decisamente elegante, ma la immagino prendere decisioni di portata mondiale con su le ciabatte e un becco d'oca tra i capelli, perché se c'è una grande lezione che ho imparato da lei è che "non bisogna prendersi troppo sul serio".
Ho imparato che si può fare tutto senza agitarsi tanto e che l'umiltà e la modestia fanno Grande una persona. Ho imparato che se fai tanto rumore vuol dire che non hai le idee chiare e che puoi schiarirtele senza dar noia agli altri che colpe non hanno. Ho capito che qualunque sogno uno abbia, piccolo, grande, medio, si può realizzare, basta esserci con la testa e magari con un pizzico di organizzazione. Quel poco di piedi piantati a terra ce li ho anche grazie te. 


Ti immagino all'ONU. Dopo aver sentito blaterare per ore e ore inconcludenti capi di stato, alzi la testa e con indifferenza, quasi fosse superfluo ribadire l'ovvio, salvi l'universo con un sorriso e una buona idea.

Ti immagino. In realtà ti guardo con ammirazione dal mio staterello sconclusionato e quasi quasi chiedo il commissariamento: dieci giorni della tua gestione e con buona probabilità chiuderei l'anno in positivo.



Life Style, l'amica che tutte noi dovremmo volere accanto



Facciamo che ci capiamo subito: l'amicizia tra donne non è cosa semplice. Siamo esseri umani splendidi ma un po' contorti e con chi ci rassomiglia troppo a volte facciamo disastri.
Questo lo dico per quieto vivere, per quelle che non hanno avuto la fortuna di avere Sorelle acquisite lungo il cammino, femmine capaci di tutto e anche di più, di essere presenti in varie forme e manifestazioni nella mia vita.
Mentre pedalavo con fretta e vigore affrontando una rotonda, mi sono resa conto che pensavo a una delle mie Wonder Woman. La lista è pingue ma di Lei non ho ancora parlato ed è ora che trovi posto in questo blog.
Life Style. Questa donna qui, questa bella persona qui, mi ha letteralmente scaravoltato i pensieri in quattro mesi. Lasciandomi di stucco. È riuscita, involontariamente, a mettere a nudo una parte di me non contemplata nel mio clichè. Per raccontarvela parto da una cosa stupida. Io non ne capisco nulla di tendenze moda, di stile contemporaneo e affini. Lei sì. Io semplicemente so cosa mi piace e cosa no. Sono un po' limitata, lo ammetto. Un giorno mi fa: "dovresti rifarti la tinta", all'epoca ero bionda da far impressione. Il mio pensiero è stato "adesso ti picchio, non vedi che ho mille problemi chissenefrega della tinta?". Forse, in modo più educato le ho espresso il mio pensiero. Aveva ragione, assolutamente ragione, me lo dicevo ogni mattina davanti allo specchio ma... non mi volevo bene abbastanza da alzare il sedere e andare dalla mia fidata parrucchiera. Mi misi a osservarla bene, ad ascoltarla con attenzione e mi si è aperto un modo, sconosciuto e inesplorato. 
Ho capito che aver cura di sé e del proprio aspetto è un dovere, e poi un diritto. Che ambire alle cose belle è sano. Che amarsi anche dal punto di vista estetico è segno di rispetto verso se stessi e gli altri. Che bisogna aver gran senso della realtà e consapevolezza di sé per accettarsi e imbroccare il giusto abito. E che se quell'abito non contiene qualcosa di buono... difficilmente lo si riconoscerà come uno Chanel.
E poi con il tempo, perché Life Style, non scopre le sue carte tutte insieme, ho visto che dentro quella Louis Vuitton c'è un mondo di cose splendide. L'intelligenza di LF è brillante, corre a mille tanto che a volte è difficile starci dietro, la sua sensibilità è troppa, un po' meno le farebbe meglio, il suo coraggio è da leoni. Forte della sua criniera e io della mia ritinteggiata, abbiamo compiuto una grande piccola impresa che ha reso questo mondo migliore: non fare no con la testa, dobbiamo riconoscerci il merito di quello che abbiamo fatto. 
Ci siamo ritrovate sole contro tutti e tutto, eppure abbiamo tenuto botta e abbiamo fatto il culo ai cattivi. 
Spalla l'una dell'altra abbiamo portato avanti le nostre idee, con forza e quell'ideale di vita che ci ha reso mosche bianche in mondo di ciechi e sordi.
Il tuo modo di affrontare la vita, all'American Dream, mi è d'ispirazione.

Ci vorranno degli anni ma vedrai che il tuo esempio avrà effetti positivi su di me.
Nel mentre ho capito chi è Eva Longoria!


lunedì 28 maggio 2012

Sapori, bon ton e memoria di un tempo che fu.

Dolci al cucchiaio

La notte tra sabato e domenica ha segnato, fino all'arrivo dell'autunno, la chiusura della stagione lavorativa del mio forno. Fa troppo caldo, e come preannunciato passerò ai dolci al cucchiaio.
Dopo anni di panne cotte in busta, di budini polverosi, finalmente mi accingo a imparare come si fanno.
Questa volta, a differenza delle classiche torte, o della sperimentazione da biscottificio, ho bisogno di preparazione: di un'accurata preparazione. Se le dosi in pasticceria sono tutto, per i fine pasto da manuale, lo sono ancora di più. Oltre all'accurato studio della ricetta, dovrò stare attenta il doppio, perché ci sono cose che non ho mai fatto.
Il mio stato d'animo oscilla tra il preoccupato e l'ansioso.
Perché? Perché il dolce al cucchiaio rappresenta, per l'idea tradizionale ( e non) di menù, la miglior chiosa di un pasto. L'errore tra virgolette, che noi tutti - o quasi -  commettiamo nello stilare la lista delle portate, è inserirvi, alla fine, una buona torta, magari quella che ci riesce meglio. In teoria non si dovrebbe fare.
Al termine di una serie di piatti buoni, a volte corposi, dopo un vino impegnativo, dopo mille sapori costruiti con cura... sarebbe buona norma, per finire, non coltellino e forchettina, ma un semplice cucchiaio.
Il dar vita a una cocotte, una tazzina, una coppetta, un piattino non è semplice. Non impossibile, però.
Ci vuole solo il doppio della pazienza ed è indispensabile dimenticare sia sapori e consistenze di ciò che abbiamo consumato fino ad ora a livello industriale. Le polverine magiche che in 2-4 ore ci regalano la freschezza vanigliata di un budino, non hanno nulla a che fare con il vero dolce che porta questo nome.
Sottolineo questo passaggio perché la prima volta si può rimaner sorpresi e perplessi.

Il mio primo tentativo di dolce al cucchiaio fatto in casa è stato la Bavarese all'Arancia.
Nella mia testolina, l'arancia doveva assalire il palato con decisione e invece... lieve e impalpabile, sommessa e discreta... sulla lingua. Delusa? No. Insicura? Sì. Anni e anni di robe confezionate hanno creato idee distorte nel cervello. Dal colore al sapore. L'arancia, tanto per rimanere in tema, non colora di arancione una bavarese, sul phantone, le sue sfumature raggiungono un rosa carico, nemmeno si avvicinano al rosa schiapparelli. L'arancione è solo un sogno.
Il profumo poi... nella mia fantasia contaminata pensavo all'esplosione di odori tipici di un agrumeto o di una profumeria artigianale e invece... è tutto molto delicato, arriva con calma e senza fretta.

Per le preparazione a base di frutta poi... bisogna rassegnarsi un po'. Benché i prodotti bio, a volte, abbiano più sapore di quelli non, le fragole, le ciliegie, le arance, le mele, non corrispondono più alla nostra memoria sensoriale, quella che ci siamo costruiti da bambini.
Noi nati prima dell'80 o intorno a quella data, abbiamo ancora avuto la fortuna di assaggiare i veri prodotti dell'orto o del frutteto, per noi la mela cade dall'albero e non vegeta nel cestino di plastica del supermercato. Quindi attenzione, non vi aspettate sapori pieni e corposi da quello che produrrete, in primis perché le basse e issime temperature ammazzano i sapori, per restituirli dopo un po', ma soprattutto... a costo di sembrar banale, non ci sono più le pesche di una volta.











Campagna in difesa del nome... salviamo il Tiramisù.



Che la parola coerenza stia in una frase costruita dalla sottoscritta già è un evento inspiegabile dalla scienza ma su alcuni punti fermi della cucina sono coerente.
Per esempio il tiramisù.
Il Tiramisù è un dolce al cucchiaio vecchio come il mondo, o quasi, e si fa con uova, mascarpone, zucchero, caffè, savoiardi, cacao, a scelta un po' di liquore. Punto e basta. 
Mai al mondo mi sognerei di farlo in maniera diversa da quella che ho visto fare a mia mamma e mia suocera, dallo Chefinformatico, da me stessa.
Tutte quelle versioni light, di design gastronomico, e bla bla bla... non mi interessano, non le comprendo. E non mi adeguo. O cambiate il nome al vostro dolce con le fragole, le pesche, il bollito o la sugna oppure io non lo prendo nemmeno in considerazione.
Fare un buon Tiramisù è un'arte. Ogni cuoca di casa o chef di cucina ha il suo piccolo segreto, custodito nel quaderno delle ricette per anni e generazioni e quel segreto lì è abbinato a un dolce: il Tiramisù.
Tutto il resto è altro da quel nome.
Concludendo, non ci provate con me, io da quella roba lì non mi faccio ingannare. 
Diamine metteteci un po' di creatività nello scegliere i titoli dei piatti, se proprio non ce la si fa attingente dall'arte contemporanea. 
Il tiramisù (argh) alle fragole potrebbe diventare: Senza titolo alle fragole, Studio su savoiardi, Veduta su piantine rosa, robe del genere... tanto per capirci anche una "mattonella al mascarpone e uva" può andar bene.
Vittime della stessa pigrizia esplicativa e nominale sono il millefoglie, le lasagne, la parmigiana, la carbonara, e via elencando.
Promuovo una campagna per la difesa dell'originale in cucina. Elaboriamo e creiamo cose nuove, ma al contempo mettiamoci un nome nuovo... Stratificazione ai frutti di bosco (millefoglie), Senso alternato per verdure (lasagna), Terrazzi viola (parmigiana), No Pig No Eggs (carbonara)...

mercoledì 23 maggio 2012

I ragazzi stanno bene


Da un errore mnemonico - l'inconscio lavora alle mie spalle - sono stata fattorina senza premeditazione.
Impacchetto tondi e triangoli di Assassin cake e parto per le consegne. Alcune da catalogo, una no.
E senza pensarci mi sono emozionata. Perché senza quel luogo, senza quei due io non sarei qui a sbatacchiare la tastiera.
I ragazzi stanno bene e le coincidenze non esistono. Ero ad abbracciarli oggi, giornata tutt'altro che dolce per la storia del nostro Paese. Ma io ero lì a guardarli, e ad annusare quell'atmosfera che... a volte mi manca. E lo so perché ero lì oggi, a parte per scacciare "inopportuni" visitatori dai sogni, ero lì perché credo fortemente nella parola (scritta), nel potere della narrazione, nell'importanza della memoria condivisa, nella tenacia del racconto. Chi scrive, non contiamocela su, lo fa innanzitutto per sé, poi per condividere.
E io credo in questo, lo scrivere come altro mezzo per conoscere me stessa, lo scrivere per portare qualcosa a qualcuno.
Grazie per quegli abbracci veri e inaspettati.


Del tuo esempio ne facciamo tesoro ogni giorno.



"Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola."


Giovanni Falcone

martedì 22 maggio 2012

Confessioni granata.

Il Fila
Avrei voluto mettere un'altra foto. Quella che è nel mio cuore vive appolaiata sul frigorifero da tre anni e mezzo. È ritratta una bimba che guarda un campo da calcio, addosso i colori del Toro, sullo sfondo le mani della mamma sua.
La serie A? Ok, ci siamo ritornati. Il mio inconscio e il mio superio saltano e ballano come se avessimo vinto la finale dei mondiali. Ma consciamente sto ancora scuotendo la testa. No, no, no, no e no.
A me i patimenti vengono semplici: cause perse, disastri annunciati, me la vado a cercare ecc...
Perché quindi, gioire per un altro campionato che, fatto salvo miracoli e interventi divini, sarà da ansia e maldipancia?
Io stavo così tanto bene in serie B. È onorevole, quasi mistica, rassicurante.
La serie A. Non lo è. E io me li vedo già i giocatori a subire le schiaccianti aspettative, il derby da fare contro quelli là che sono l'esercito romano contro una piccola popolazione gallica, l'ombra delle scommesse, gli infortuni che non hai soldi per prenderne uno meno rotto, le partite giocate con il femore che spunta ma al diavolo dobbiamo sopravvivere con l'Inter...
Capiamoci, io sono una di quelle che è capace di tirare le monetine in testa a un arbitro se il fuorigioco non c'era, sono quella che piange (dentro) perché ogni anno c'è un 4 maggio da ricordare, sono quella che guarda la Mole e la vede di un solo colore. Granata.
Ma il disfattismo è parte di me. Ci siamo già passati, possiamo addirittura prevedere cosa andrà storto.
Oggi anziché la pioggia prevista c'è il sole. Voglio leggerlo come un segno.
Magari sto giro, finiamo il campionato a metà classifica, con onestà, bravura e quel cicinin di sfiga che se no non saremmo noi.
E se non fosse così, amen pazienza. Si riprenderà dal fondo e a risalire... ma mi sento libera si dire, gli dei ce ne scampino che succeda, "io l'avevo detto!".

"un cuore grande, ti fa tremar le gambe"

sabato 19 maggio 2012

Colei che da il miele, Melissa. Colei che porta la Vittoria, Veronica

Questi, dal greco, i significati dei nomi delle due ragazze colpite dalle bombe a Brindisi.
Miele e vittoria. Dolcezza e forza. Melissa ci ha lasciati e a lei rimandiamo pensieri di pace, per un sereno cammino verso la luce. Alla sua famiglia, un abbraccio perché le parole non possono nulla in questo momento.
Veronica è ancora qui, come dicono i dispacci della stampa, "sta lottando".
Noi con lei, con la sua famiglia, con i suoi compagni di scuola, il personale dell'istituto.
Con tutto il nostro Paese, si spera. Con lo Stato, mi auguro.



venerdì 18 maggio 2012

La maledizione dei Brownies e le vacanze della Sig.ra Carla

Colpa del cioccolato

Benché io non abbia un repertorio vastissimo di prodotti dolciari, qualcosa di diverso sono in grado di proporlo ma... la mia famiglia allargata e non richiede solo Brownies.
È un po' frustrante, mi sento un po' imbrigliata in quell'ammasso di cioccolato che strega un po' tutti.
È come se un incantesimo risuonasse nelle mio cervello "Tu infornerai solo Brownies.... " (immaginate anche un'eco in lontanaza). 
Mi sono fatta persuasa sia colpa del cioccolato: "Theobroma cacao (lat.) tu t'impadronirai degli umani facendoli tuoi sudditi...". Disse la Stregapasticcera invocando lo spirito delle Endorfine.

Sarà, ma vorrei che per un po' non me li chiedessero più. Devo ancora produrli per Rebuilder e poi li manderei in vacanza...

... come del resto ci finirà la Signora Carla. La curatrice del libro che sto utilizzando verrà spedita in esilio forzato fino all'arrivo dell'autunno. Anche se guardando dalla finestra, oggi sembra ancora marzo, l'estate è alle porte, ha già bussato e di accendere il forno per ore mi sembra un po' fuori luogo. Secondo la tabella di marcia della succitata signora (in)esperta di dolci, ora dovrei cimentarmi con le meringhe e con il panforte... Direi che posso posticipare.

Così mi sono industriata e ho deciso di buttarmi su "Frutta e dolci al cucchiaio" 12° volume dell'Enciclopedia Rossa di casa.
Mi tremano già i mestoli. Cresciuta a budini e panne cotte in busta, l'idea di produrre cose tremolanti a bagno maria mi fa un qb di paura.

Nel frattempo facciamo tutti, con la manina, "ciao ciao Signora Carla"!

Grazie è una bella parola da dire e da scrivere.

"Questo è per te"


... e vuoi non ringraziare quel donnino che ci ha aiutato ad arrivare fin lì? E così, oltre alla merenda per i compagni di viaggio, abbiamo concordato un piccolo pensiero per lei. La Purple, nella cui posta elettronica ci siamo infilate come un virus, come un ospite pasticcione che della formalità se ne sbatte e si relaziona come si trattasse della propria compagna di banco. 
Il racconto di come e perché abbiamo iniziato a importunare quegli occhi azzurri lo lascio alle altre scribacchine che mi hanno accompagnato: sono dotate di maggior sintesi e ironia della sottoscritta. 

Quello che ho da raccontare è la necessita di dire Grazie.
Sembra quasi che questa parola stia andando in disuso. Si è persa quella bella abitudine, anche solo di etichetta di ringraziare quando qualcuno fa qualcosa per noi. 

Qualunque cosa essa sia, dall'etto di prosciutto crudo tagliato sottile, a una diagnosi corretta, a dei posti a sedere.

E così altra "bomboniera"(?). Io e il mio inconscio abbiamo bisogno di parlare.

Per Purple stesso rancio che per i miei amici, solo meglio confezionato.
Perché lei ci ha lette, ascoltate, rassicurate e posizionate in quello che è stato per molti di noi, un evento da raccontare ai nipoti, ai vicini di casa, a quelli che non c'erano.
Già, grazie a te, che con mille occhi, hai sistemato noi e tanti altri.
Grazie a te che hai avuto pazienza e cura della nostra goffaggine della Bassa.
Grazie a te che sei titoli di coda ma che per quanto ci riguarda ti ci si intitolerebbe una trasmissione!

Quello che abbiamo... frolla e gocce di cioccolato

La merenda
Sembrano delle bomboniere. Non lo sono. È il cestino della merenda.
Anche la preparazione di questa avventura rassomigliava alla preparazione di un matrimonio. Lista degli invitati, cosa mi metto?, a che ora partiamo? hai preso tutto? quante macchine e con chi vado?
Nella realtà abbiamo percorso 69 chilometri per assistere a uno spettacolo che in un qualche modo ci ha cambiati, in meglio. Il mondo dei balocchi verso il quale ci siamo diretti ha alimentato le nostre fantasie per un mese buono. L'attesa è stata ricca di supposizioni e di chissàcomesarà essere lì a sentire Saviano e Fazio, dal vero.
È stato molto di più di quello che io mi aspettassi. Le regole ferree per la sicurezza nostra e del giornalista minacciato, la quantità di forze dell'ordine in borghese, le pistole e distintivi luccicanti nel sole torinese, la maestosità umile di uno spazio ricco di storia... sono solo alcune immagini che mi porto in tasca.
Mi hanno colpito le cose tecniche. Dai signori delle luci appolaiati su un traliccio all'omino della steadycam a dieci centimetri da me, dall'assistente di studio che urlava minutaggi quasi fosse un generale allo sguardo preoccupato degli autori che sgranavano rosari quasi fossero credenti.

Le emozioni ho cercato di tenerle nella borsa, in custodia temporanea dalla Barbie guardarobiera.
Sapevo che tutto quello che c'era lì mi avrebbe scompigliato i villi intestinali, così ho cercato di fare finta di nulla... il risultato è stato compiere azioni poco signorili.

Michele Serra viene verso il tavolo dove con alcune delle mie compagne di sorte prendiamo l'aperitivo più costoso della storia, manco fossimo in piazza San Marco e sgranando gli occhi inizio a fissarlo. Inizio a dire  a ripetizione:"C'è Michele Serra". Lui legge il labiale, scuote un po' la testa e entra nell'area riservata alla stampa.
Passiamo il metal detector in attesa che il resto della nostra truppa arrivi, ovviamente intruppata nel traffico. Da lì in poi non si può più tornare indietro. Così inizia il vai e vieni delle pipì scortate (letteralmente) verso i bagni, attraversano una meravigliosa mostra sui nostri 150 anni.
Poi la porta dello studio si apre e in 500 si entra. Bello, bello non per la tecnologia o la scenografia, bello perché mi sono immaginata i treni in riparazione, ho immaginato l'odore del metallo e del lubrificante, ho immaginato il signor Gianni che dice "al va o al va nen" (va o non va, riferito al treno da aggiustare), mi sono immaginata tante cose che valevano già il viaggio.

Davanti a me l'Omino dei Cantieri corre verso un omone alto. ?. Si gira e mi fa: è il Grame. Inizio a correre tipo Forrest Gump verso l'entrata artisti. Io al Grame ci voglio parlare. È alto, è altissimo, troppo alto, tanto che, come negli ultimi metri prima del passaggio del testimone alle olimpiadi, sfioro a malapena una sua spalla e gli dico Grazie, lui si gira e mi sorride scappando tra i bodyguard.

Mi sono sentita come una bambina con l'album di figurine da completare. Puntando il dito con estrema maleducazione, ho fatto l'appello di quei piccoli grandi personaggi che mi hanno fatta crescere. Serra, De Luca, Rossi, Travaglio, Lerner, i Litfiba... e poi ancora tra il pubblico altre facce che per me voglio dire molto.

S'accendono modestamente i riflettori. Perché a Torino il mood è modestia, discrezione e concretezza.
Le emozioni, ciò che ho sentito me le tengo ancora un po' per me, perché qualcosa mi si è mosso dentro e devo lavorarci.

E la merenda? Ogni viaggiatore ha ricevuto un sacchettino trasudante di pasta frolla. La ricetta è sempre la solita con l'aggiunta per i fiorellini di scorza di limone e succo, mentre per i quadrotti di gocce di cioccolato.
Quattro biscotti che fanno pasto.
Noi della bassa un po' campagnola siamo previdenti... sai mai che laggiù non ci sia niente da mangiare.

Quello che ho sono amici veri, tante cose da mettere su carta e una gran voglia di prendere esempio.

Quello che non ho è di farla franca, quello che non ho è quel che non mi manca...

Blondies for Blond Traveller

Esperimenti
Il cioccolato bianco è un'incognita. Un po' come le relazioni. Si inizia a lavorarci su con sguardo guardingo nella speranza che tutto fili liscio e nulla vada storto. La mia avventura con i Blondies è stata ricca di spunti e di motivazioni come del resto lo è l'amicizia con la mia Biondaviaggiatrice.
Lei è a chilometri di distanza da me, e non parlo solo di geografia. Lei salta da un chek in all'altro come io passo i prodotti alla cassa automatica del cooperativo supermercato, lei dirige e organizza mentre io riesco a farmi mettere le zampe in testa dalle mie gatte, lei sa ridere di gusto e ironizzare su buona parte del creato mentre io quando distribuivano la simpatia... beh, ero in coda per l'ansia.
L'amicizia fa giri strani, unisce persone che apparentemente non s'incastreranno mai nel puzzle.
Ma tant'è.
Lei non ama il cioccolato fondente. Dramma. Psycodramma. La goloseria mondiale vive di cioccolato fondente meglio se extra. Sfida. Estrema. Fare i brownies con il cioccolato bianco. Sento già odor di sconfitta. Ci ho ragionato sopra per un mese buono, capendo fin da subito che la miscela poteva essere pericolosa. Il bianco è praticamente burro di cacao... che unito al burro avrebbe mandato a carte 48 la consistenza dell'impasto. Pazienza. Mi prendo il rischio e uso le dosi dei MIEI brownies e sostituisco il cioccolato fondente con quello bianco e lo zucchero semolato con quello di canna. Quest'ultimo per mitigare l'estrema dolcezza del white chocolate.
Mi metto al forno e seguo passo dopo passo la ricetta dei Brownies (vedi Intermezzo al cioccolato) facendo le modifiche di cui sopra e aggiustando il sapore con il succo di mezzo limone.
Come immaginavo la cottura è stata più complicata. 180° forno ventilato per 32 minuti. Il composto è risultato meno solido e piuttosto unto ma viste le componenti... non mi potevo aspettare altro ma, dopo il riposo a temperatura ambiente, la consistenza era quella giusta.
Il sapore? Dolce, dolce, dolce anzi dolcissimo! Fortunatamente lo zucchero di canna distrae e porta l'immaginazione a qualcosa di caraibico, di esotico, mitigando a livello cerebrale quella botta zuccherosa capace di stendere un diabetico solo con un'annusata.
Riassumendo: 200 gr di burro, 200 gr di cioccolato bianco, 267 di zucchero di canna mascovado, 119 gr di farina, 3 uova, un pizzico di sale e il succo di mezzo limone. Per la cottura affidatevi al vostro naso e vivete mezz'ora attaccati al vetro del forno.

L'amicizia è un esperimento. Due perfetti estranei che si incontrano in ambiente mediamente neutro o controllato da regole non scelte che si guardano negli occhi e decidono, chissà perché, di camminare insieme. Volendosi bene e supportandosi.
In cucina a volte succede lo stesso. Si mettono insieme elementi, si mescola e si incrociano le dita...

La Biondaviaggiatrice mi vuol bene. Mi ha mandato un sms per ringraziarmi e per farmi sapere che "i non mi ricordo come si chiamano" erano buoni. Ho sorriso e mi sono quasi commossa.
Lo so che non erano il massimo, lo so che dal mio forno sono uscite cose migliori. So anche che Lei per me, è capace di addolcire la realtà e mi ha regalato una mezza illusione che fossero davvero buoni.
Buonini, il mio commento onesto.
Buonissimi per te che hai un cuore grande.

mercoledì 16 maggio 2012

È difficile stare in piedi.

Canto di Natale
I fili si intrecciano, le vite si mescolano e i fantasmi dell'armadio ricicciano fuori come lo zoombie che il protagonista pensava di aver fatto fuori.
La sofferenza altrui può, e si sa che può, risvegliare pensieri che serenamente dormivano sotto una coltre di neve. I ricordi, l'amarezza e la disperazione di terzi non mi ha colpito allo stomaco, mi ha picchiato duro   su entrambi gli emisferi. I chilometri fatti mi hanno regalato capacità di analisi ma non la freddezza di restare distaccata. Coinvolta. Malamente. Forse inutilmente. Eccomi lì a pensare a un qualcuno che per me non dovrebbe contare nulla ma che in realtà mi ha turbato. Un salvagente. Questo vorrei essere. Per salvarti e assolvermi definitivamente.
Pensieri pesanti. Troppo. Perché non è il momento e vorrei non averne voglia.

"Cerca di non saltare ora, te lo chiedo per favore. Lasciami provare. Lasciaci provare. Se non vuoi farlo per te, cazzo, fallo per me. Non lasciarmi con l'idea che il fallimento è l'unica strada possibile."

martedì 15 maggio 2012

Quello che (non) ho... in difesa di Saviano

Pesce rosso


Una persona perché sia riconoscibile come "cittadino modello", come "eroe", come promotore di cambiamento deve per forza essere ammazzato da una bomba?
Vengono iscritti nell'albo dei difensori della patria solo quelli che hanno ricevuto una pallottola in fronte?
Mi auguro proprio di no.
A chi mi ha detto "Saviano ci marcia, Saviano se l'è scelto lui di vivere così, Saviano è uguale sempre a se stesso, Saviano dice sempre le stesse cose, Saviano..."
Rispondo. 
Grazie agli Dei è ancora vivo. Forse alle Mafie non da così tanto fastidio da farlo saltare in aria, e a questo punto dico meno male. 
Saviano perché dovrebbe marciarci, cosa gliene viene in tasca di tutta quella popolarità se non può nemmeno spendere i soldi che guadagna con il suo lavoro.
Saviano ha fatto una scelta di vita, consapevole. È vero, e infatti si lamenta poco. Ma tu, io, che scuotendo la testa diciamo con arroganza, se l'è andata a cercare... chi diavolo siamo per criticare? Abbiamo mai fatto qualcosa di significativo, così tanto, da poterci permettere di puntare il dito contro e attaccare chi fino ad ora ha aperto un vaso di Pandora il cui contenuto era conosciuto ma che nessuno aveva mai avuto voglia di rendere pubblico?
Chi sono, chi sei tu,  per non avere un fremito di compassione per un uomo giovane che non dorme mai nello stesso posto?
Chi sei tu, chi sono io per metterci su un piedistallo e dire pensare giudicare una persona che ha fatto, direttamente o indirettamente qualcosa di grande per il nostro Paese.
Saviano, correggetemi se sbaglio, è un giornalista scrittore, che vive sotto scorta perché ha fatto bene il suo lavoro.
Dico grazie che ce lo lasciano ancora qui, come ci lasciano Le Scorte, Caselli, Caponnetto, Ayala, Colombo, i segretari e gli assistenti di queste persone, le loro famiglie.
Forse non danno così tanto fastidio, o forse ne danno così tanto da voler evitare i danni collaterali di una loro esplosiva dipartita.
Le Mafie sono cambiate, Don Ciotti lo spiega bene, agiscono in altri modi e su altre strade.
E comunque... la solitudine uccide più di un proiettile, le ferite sono più profonde e sono quotidiane.




lunedì 7 maggio 2012

Rebuilder e MisterP: l'alchima della ricostruzione

Una magia dalle mille sorprese
Qualche anno fa la mia colonna vertebrale subì un doloroso smacco, il rachide cervicale s'offese così tanto da sputare ernie su tutto, mettendo in difficoltà la sinistra parlamentare. Ci vollero mesi per trovare il dottore giusto e la terapia corretta. Alla fine l'ortopedicobiomeccanico mi aggiustò e tornai a muovermi.
Anche se il termine muoversi era un po' relativo. Avevo paura di farmi male, avevo una postura scorretta, ero come una settantenne malmessa. Tra le corsie di un negozio un po' folle incontrai Rebuilder, la quale mi racconta che sta per aprire al mondo un luogo dove ogni corpo può trovare una soluzione. Ci penso un po' su. Lei inaugura. Ci penso un po' su e prendo appuntamento. La Fedele Scudiera mi accoglie con un sorriso e io già mi sono sentita a casa. Arriva Rebuilder e mi ascolta per mezz'ora con grande attenzione. Sarà il Pilates la strada per rimettermi in sesto. Non sto qui a raccontavi cos'è, chi è, perché, ne è pieno il web di informazioni, posso raccontarvi cos'è stato e cos'è per me.
La prima lezione. Mi sistemo sul reformer e inizia una sottospecie di tortura. I miei muscoli, quelli addominali ricercati dall'Interpol da anni, si sono sentiti chiamati in causa all'improvviso e hanno iniziato a urlare, i bicipiti a piangere e i femorali chiedevano di essere soppressi. All'inizio è stato così. Controllo, ascolto del proprio corpo, respirazione, concentrazione assoluta. Disciplina e costanza. Pian piano iniziavo a sentire i risultati, dormivo meglio, mi muovevo meglio, mi sentivo meglio. Sono passati due anni e mezzo. Ora compatibilmente alla mia condizione, che non è proprioproprio ottimale, sono padrona di muovermi senza farmi male, sposto pesi, posso sognare di fare un lavoro che prima mi sarebbe stato interdetto, dormo bene, mi muovo bene, sto BENE! Gli addominali ogni tanto protestano, i femorali indicono scioperi e i bicipiti scappano ma tutti insieme siamo felici.
Il Pilates è una disciplina che richiede determinazione e voglia di conoscere se stessi. S'impara a conoscere il proprio corpo da dentro, dalle sensazioni e a volte dai dolori. È una roba serissima e potente.
Detto questo è indispensabile avere un istruttore qualificato, preparato e attento. La mia Rebuilder lo è.
Lei offre ai suoi allievi cura fisica e per certi versi psycologica. Sa perfettamente cosa sta chiedendo al corpo dell'allievo ed è in grado di portarlo dove, nemmeno nei sogni più felici, era impensabile arrivare.
La tecnica e la preparazione non sono tutto, anche se sono i cardini, ci vogliono cuore e pancia per convincere un corpo malmesso a star bene.
Sto in piedi felice e nondolorante grazie all'affetto e alla comprensione di una donna, che se fosse tra i boschi sarebbe una fatina con la bacchetta magica, ma che nel mondo di tutti i giorni è una professionista con i controc e che riassesta muscolature con un' alchemica mescolanza di sapere e sensibilità.
Grazie Rebuilder per tutto quello che stai facendo per me.

La fatica annienta l'infame paturnia!

Beltane, fiori d'Acacia
Mai avrei pensato di trovare un po' di serenità nello spingere una cariola carica di legno e sterpaglie lungo un campo fangoso. E invece... i lavori pesanti, quelli che di solito si lasciano fare ai maschietti di casa sono stati per me illuminanti. Alzare pesi, valutarne le dimensioni, trovarne il baricentro e poi trascinarli per metri e metri e metri in mezzo a una simil palude, sono stati per me l'equivalente di una settimana in un centro di meditazione. Quando il corpo è sotto pressione, quando i muscoli sono chiamati all'ordine, quando i movimenti devono essere coordinati al fine di evitare disastri, la mente non può e non ha energie sufficienti per perdersi in stupide elucubrazioni onanistiche.
Estirpare rovi è stato catartico, a ogni radice estratta, una magagna intima in meno. Mani coi calli ma il cuore è più leggero. Lasciatemi usare l'organo cardiaco come sede dell'animo perché è poetico... le neuroscienze per oggi sono in libertà.
Usare l'accetta è stata la svolta. Spaccar legna, o tentare di farlo è un'azione che meriterebbe titoli accademici. Non è solo questione di forza è questione di precisione e coordinazione. Tutti i muscoli sono chiamati a raccolta, tutto il corpo e tutta la materia grigia devono muoversi come un sol uomo. Facile? No. Tentativi a vuoto? Mille. Colpi riusciti. Qualcuno. Gioia alle stelle.
Penso che la potenza della parola e delle emozioni, elaborate e digerite nel modo corretto siano la strada per ricucire ferite profonde, ma per chi, è già in fase di stabilità... beh, i lavori manuali (quelli pensanti da carpenteria) siano un grande passo verso lo star bene. Come per magia, parlo ovviamente per me, i pensieri inutili, la pesantezza dello spirito, la negatività in genere, spariscono. La fatica annienta l'infame paturnia. Farò tesoro di questo insegnamento, è stato molto importante e illuminante.
Devo ringraziare per questo dono... la mia Fata e Lo Chefinformatico che anni fa mi aprirono le porte di Beltane e con loro il Bliyth, Datura, Keelan, Aere e Tine.

venerdì 4 maggio 2012

Intolleranze e allergie alimentari... una disgrazia in cucina

Un quaderno con le intolleranze-allergie di tutti facilita
La differenza tra allergie e intolleranze è spesso nebulosa ed esse sono separate da un sottile filo rosso. Cercando di semplificare e rimandandovi a un sito che spiega bene tutta sta faccenda possiamo dire che è il sistema immunitario a fare la differenza. Nelle allergie, quando un alimento è identificato come nemico, il sistema immunitario s'incazza e parte all'attacco, innescando una serie di reazioni, vengono prodotti anticorpi e questi favoriscono la produzione di istamine che provocano i sintomi tipici quali: prurito, naso che cola, affanno, difficoltà respiratorie, asma, tosse e nel più malaugurato dei casi lo shock anafilattico per cui è richiesto l'immediato intervento medico. Le intolleranze, coinvolgono il metabolismo ma non il sistema immunitario, esse hanno sintomi simili quali crampi, diarrea, esse si manifestano quando il prodotto ingerito non può essere digerito dal corpo. Questo in sintesi e in breve, per maggiori info potete visitare questo sito www.eufic.org, ovvero European Food Information Cuncil.
Perché sta botta di allergia? Primo perché io Ragazza di Bottega ne sono portatrice, alimentari poche, di altre a mazzi, secondo perché cucinare per chi soffre di intolleranze o allergie o tutte e due può essere davvero complicato.
Lo Chefinformatico ed io, in occasione del compleanno della Fata, abbiamo toccato per l'ennesima volta, con mano, quanto sia frustrante e poco soddisfacente mettersi ai fornelli con una serissima lista di divieti. Spesso alle nostre tavole si sono sedute persone con vari problemi alimentari o con principi etici da rispettare. Così se alle allergie-intolleranze, aggiungi l'essere vegetariano, vegano, i motivi religiosi e i gusti personali... beh... lo sconforto era in ogniddove. Con un po' di sarcasmo, misto a polemica, ci siamo messi ai fornelli, cercando di creare qualcosa di commestibile, piacevole e carino da guardare. Per noi, l'essenziale è non far sentire a disagio nessuno, è inconcepibile per noi servire una lasagna mentre l'intollerante lattosio deve accontentarsi di un riso bollito. Sulle nostre tavole si è sempre presentato qualcosa di simile per tutti. O addirittura lo stesso piatto per tutti. È una fatica epica ma ce l'abbiamo sempre fatta. Nel corso di queste sedute di tortura ai fornelli, abbiamo imparato a conoscere prodotti nuovi, a lavorarli e a farci l'abitudine, con sofferenza. Capirete più avanti.
Le abitudini sono così cambiate e invece del classico: "cosa ti cucino stasera?" siamo passati all' innovativo "a cosa sei intollerante-allergico"? Partono gli appunti su chi può o non può mangiare cosa, ricordandosi delle fisime alimentari (no la cipolla puzza, il pesce a forma di pesce mi fa schifo, il radicchio è amaro, le carote sono dolci...). Sulle fisime e sui suoi portatori si potrebbe scrivere un'enciclopedia, ma facciamo finta di niente perché tutti ce le abbiamo! Lo Chefinformatico ed io stiamo cercando di combatterle, ognuno a suo modo, mangiando anche con i denti alti quello che abbiamo nel piatto, o scansando da esso quello che proprio non ci va giù.
Dopo aver accuratamente eliminato buona parte dei prodotti presenti sul mercato, si può iniziare a cucinare con quel che resta.
Abbiamo prodotto cene buone, oneste e soprattutto non abbiamo fatto morir di fame nessuno. Ma ancora più importante non si sono viste verdure al vapore o risi bolliti pallidi.
Da tutte queste esperienze, tra uno sformatino al kamut e lenticchie e un brasato riadattato ci siam detti... facciamone qualcosa delle nostre fatiche e così, a brevissimo, nascerà un blog dedicato all'argomento. Saremo polemici, cinici, spietati, irriverenti, qualcuno si offenderà di certo ma non importa, insegneremo a chi si ostina a bollire le verdure che c'è un'alternativa. Va bene tutto ma la tristezza a tavola non è concessa!

Come in sala operatoria...guanti, mascherina e dosi.

Rischio di contagio

Mi sono stupidamente ammalata. Come dice Mammamivuoibene sono stata incosciente: ho sfidato le intemperie, facendo finta che la pioggia non mi avrebbe fermata. Dalle nubi lassù una serena e gioiosa pernacchia: prrrrrrrrrrrrrrrrrrr. Febbre alta, tosse e naso che cola, una disfatta, forse, ma il piano B fa parte del mio DNA. Come sfamare delle persone a cui avevo promesso l'Assassin Cake, senza renderle allettate il giorno successivo? Una mascherina protettiva sulla faccia, un bel paio di guanti in vinile e oplà mi metto al forno. Uno dei grandi pregi della pasticceria è che non è necessario assaggiare se la ricetta è collaudata e le grammature sono corrette. Chi assaggia in questi casi lo fa per gola o per estremissimo scrupolo. Propendo comunque per la prima ipotesi. Non è divertente, ma neanche un po', lavorare intabarrata come se fossi la Bailey intenta a suturare un malcapitato sedicenne. Però si può fare e si fa.