lunedì 13 agosto 2012

Spazzar via le ombre, un'impresa quasi olimpica

Firenze, qualche anno fa
Negli ultimi 40 giorni mi sono messa alla prova. Volevo vedere se ero in grado di "fare pulizia" intorno e dentro me. Ho approfittato di cambio di look alla casa. Non ho traslocato ma quasi. Gli imbianchini hanno ritinteggiato casa e noi abbiamo commissionato a dei traslocatori un togli e metti mobili. La sottoscritta ha svuotato casa, l'ha impacchettata e divisa tra garage e cantina. Ho messo mano a 6 anni di vita un po' distratta, fatta di accumuli e inutili ciapapuvra (soprammobili in piemontese) e li ho buttati, ripuliti, regalati, accantonati per il mercatino dell'usato. È stato terapeutico, molto terapeutico. L'allergia alla polvere e l'imbarazzo per il "degrado"(solo il Sig. Renato sa cosa c'era sui pensili della mia cucina) mi hanno riportata alla realtà. Se avevo qualche dubbio, un incidente domestico occorsomi stamattina, mi ha dato l'ultima sveglia: "Le cose le devi farle subito, sennò sono cxxxx!". Nello specifico una libreria del '700 non fissata al muro potrebbe ucciderti.
Una quarantena che mi ha permesso di riscoprirmi, di crocifiggermi e a tratti assolvermi. Avevo bisogno di un cambiamento e a partire dal colore alle pareti sembra che una ventata di idee nuove sia arrivata. È l'atteggiamento che è cambiato, è come quando esco dalla doccia rinfrancata e coccolata dal profumo di bagnoschiuma, mi sento una persona migliore.
Poi di cose da aggiustare ce ne sono un'infinità. La lista è lunghissima, ma poter pensare "Credevo peggio" è già una vittoria.
Sarà lo spirito olimpico, sarà che ho preso coscienza di molti miei errori, non solo di massaia... ho deciso che voglio vincere, fosse solo salire sul gradino più alto del podio degli internazionali di pulizia vetri...
Ognuno di noi ha le sue ragnatele e i suoi mostri dell'armadio. Ci sono cose che sto elaborando e forse sto aspettando il dolce giusto per raccontarle.
Le ombre pian piano svaniscono, alcune se ne sono già andate, altre ci vorrà un po'.
Le ombre fanno male al cuore, e io non ne voglio più.

Non ho però appeso il minipimer al chiodo. Ho prodotto (anche in compagnia), fotografato e preso appunti.
Devo solo trovare il cavo che collega la compatta al computer... in quale scatolone sarà?

Indispensabile per me in questo momento: "La via dell'artista" di Julia Cameron, ed. Longanesi, 24€ (in rete 22).

mercoledì 4 luglio 2012

Torta di carote, someone like me

A vederla non le dai un soldo bucato
Mi aggiravo tra i libri di cucina. Fatta, già vista, uffa non ho niente da cucinare (versione gastronomica del "non ho niente da mettermi"), le creme d'estate non mi sembra il caso, questa torta dovrà fare 200 km: troppi pensieri. Poi mi si è accesa la classica lampadina, un insight per dirla alla Gestalt: cos'ho nel frigo? Carote in abbondanza. Pronti via. Nel mio vagare notturno tra le pagine del Volume Torte de "L'enciclopedia della cucina italiana" di Repubblica avevo visto ben due ricette con l'arancione. Leggo la prima, mi piace ma allo stesso tempo mi spaventa un po'. Un ingrediente misterioso, una preparazione insolita e molti punti interrogativi.
Cosa ci serve? 250 gr di carote, 10 gr di farina, 250 gr di zucchero semolato, 6 uova, 100 gr di fecola di patate, 20 gr di burro, sale, le zeste di 1 limone bio, sale, zucchero a velo. Attrezzatura: una ciotola grande, una piccola, un piatto per le carote, grattuggia, una tortiera, fruste elettriche, cucchiaio, leccapentola.
La prima scoperta è che grattuggiare 250 gr di carote non è una seccatura ma bensì un valido esempio di come scaricare le tensioni accumulate. Grattuggia che ti passa sarà il mio nuovo motto. È stato liberatorio. Consiglio di grattuggiare il limone subito dopo e tenere tutto insieme. Preriscaldate il forno a 180°.
Fate una crema con i tuorli, lo zucchero e un pizzico di sale. Aggiungete la fecola e successivamente le carote e le zeste. Meraviglia e stupore. Il limone e la fecola giocano ai piccoli chimici e l'impasto prende vita. Sfrigola, fa bollicine. Inaspettatamente diventa divertente e profumatissima. A parte montate gli albumi a neve ferma. Aggiungeteli al composto.
A questo punto della ricetta mi sono guardata intorno e i conti non erano corretti. Benché avessi letto più volte la ricetta prima di buttarmici a capofitto, il mio cervello abitudinario continuava a guardare burro e farina chiedendosi perché fossero ancora sul tavolo e non già nella ciotola. Contemporaneamente un tarlo. La potenza addensante della fecola basterà a fare di questo impasto liquido e colorato un dolce?
Proseguiamo. Prendete la tortiera e imburratela con cura, tutta, senza lasciare buchi e arrivate fino al bordo. Per concludere, la farina. Deve adagiarsi sul fondo di burro in modo uniforme.
A questo punto si può versare l'impasto, prestando cura nel livellarlo.
Cottura a 180° per 30 minuti, forno statico. Il ventilato asciugherebbe troppo.
Mi sono messa lì a spiare. Guardavo incredula la tortiera e poi il timer: non ce la farà mai. Come un giocatore della sala corse, camminavo avanti e indietro per casa scuotendo la testa. Non si addenserà mai e mai più. Ho un alternativa? Posso mettere su un altro dolce in tempo? Avrò abbastanza uova? La Iaddina trilla. Miracolo. Quell'impasto lì somiglia verosimilmente a una torta. Sforno. Tocco leggermente la compattezza. Non ci siamo ancora, il libro dice un'ora e trenta di raffreddamento.
Vado a dormire.
Il mattino dopo mi catapulto in cucina e la mia torta, pur rimanendo sofficissima e delicata si è staccata dalla tortiera. Un consiglio. Mettetela su un piatto di portata, non lasciatela nella tortiera. La consistenza è così delicata che potrebbe fare fatica nel taglio.
È tutto pronto, si parte. E lo zucchero a velo? Non serve, è bella così.

Perché questo dolce mi ha colpito?
Ingredienti proletari, preparazione semplice e un po' rude. Spiccia nel pensiero, lunga nell'attuazione.
È una torta che se la guardi pensi, speriamo almeno sia buona. Guardando me: speriamo sia almeno simpatica. La torta di carote non se la filano in tanti. Se dici che somiglia alle Camille del Mulino Bianco hai qualche possibilità... altrimenti rischia di fare tappezzeria come me, in tanti anni al pub.
Con un po' di superbia dico questa ricetta vince sulle Camille 12 a 0. È buonissima.
Io non sono buonissima e non vinco mai ma... certe volte, quando nessuno mi guarda mi stacco dal muro e qualche magia riesco a farla.
Questa è la MIA TORTA. Mia... come la canzone preferita, tanto per intenderci.
Mi sono intenerita guardandola, bruttina e poco commerciale. Mi sono guardata allo specchio e intenerendomi ho pensato la stessa cosa di me.
Né io né questo dolce saremo mai una Mont Blanc o una Sacher, ma vuoi mettere con la soddisfazione di essere un prodotto di nicchia?
(questa parte di battuta è probabilmente rubata a Luciana Littizzetto).

Ringrazio in ordine sparso, lo Chefinformatico per lo sforzo, la MiaFata per l'affetto, l'Omino dei Cantieri per l'amore.
Al mio Cute Faun dico questo: "non possono non piacerti i dolci, cxxxx. Mo' lo dici?". Che disperazione!

Muffin Pere e Gongorzola, incursione salata parte 2

... quant'è buono il formaggio con le pere!
Era un po' di tempo che giravo intorno a quest'idea. Ma chissà, magari piace solo a me, e poi se non piace ci rimango male, e se, e poi, e ma, e forse. Mi sono annoiata da sola.
Così senza dire niente a nessuno, nemmeno a me stessa, ho deciso autonomamente dosi, ingredienti e compagnia cantante. Il risultato è stato piuttosto soddisfacente anche se qualcosina da aggiustare c'è, la consistenza, per dirne una. Vorrei più leggerezza ad ogni morso.
Cosa ci serve? 230 gr di farina, 200 gr di gorgonzola dolce, 250 gr di pere Williams a pezzettini (intere sono circa 360 gr), 8 gr di lievito in polvere per pizza e pane, 2 uova, 125 gr di yogurt biango, 100 gr di burro, sale, olio. Attrezzatura: ciotola grande, coltelloche taglia, tagliere, stampini per muffin, cucchiaio, leccapentola.
Senza raccontarcela tanto... fare i Muffin è semplice, è quasi come fare una torta, è la forma che cambia,  tutto lì. Nella ciotola grande farina, lievito, uova precedentemente sbattute, yogurt e il burro fuso solo quando si è raffreddato. Aggiungete le pere e infine il gorgonzola tagliato anch'esso a pezzettini e per concludere, il sale. Amalgamate bene. Lasciate riposare il composto almeno per 15 minuti.  Oliate leggermente gli stampini, almeno dormirete sonni tranquilli e senza incubi sulle possibili attaccature di impasto. Aiutandovi con un cucchiaio da minestra riempite ogni stampino. Non so se è umanamente possibile gestire equamente pere e formaggio, a qualcuno capiterà più frutta, a qualcun altro più muffa!
Preriscaldate il forno a 180°. Quando si spegne la lucina rossa (la mia è così) e l'aggeggio del demonio è arrivato a temperatura, infornate. 15 minuti ventilato, 20 statico. Se vedrete sfrigolare il formaggio non allarmatevi, è tutto sotto controllo. Una volta spento il forno tutto tornerà alla normalità.
Trascorsi i minuti necessari appoggiate gli stampini da qualche parte a riposare. Ehi tu, giù le mani, se provi a staccarli ora ti ustioni e li rompi, capito? Basta un quarto d'ora, ma se aspettate il doppio del tempo male non fa. Una volta liberati potete servirli ma... sentite qua cosa vi dico: se li mettete in frigorifero e li servite il giorno dopo, il volume degli applausi aumenterà. Date retta ammè.
Gli assaggiatori di questi Muffin sono stati praticamente solo uomini. Che la dose di testosterone in me sia troppo alta, vista la condivisione di gusto? In ogni caso il parere è stato unanime: più gorgonzola per tutti. Non fate come me, se vi piace abbondate, non siate timorosi!

Ringrazio, in ordine di apparizione e di suggerimenti: l'Omino dei Cantieri, Cute Faun e l'Angelo dei Sallui.

Pollo, ananas e riso venere, incursione salata parte 1

Un pizzico di romanticismo
C'è un castello vicino a casa mia. C'è un tenutario affascinante che sfama i locali. Andando a cena da lui, nella sua locanda dal sapore prettamente risaiolo, ho affinato il mio gusto per certe pietanze e come si evincerà da questo post, ho tratto ispirazione a mani basse. Si potrebbe parlare di furto di ricetta: riesco ad autoscagionarmi per l'aggiunta del pollo ma l'idea arriva da Oryza, a loro tutto il merito.
Mentre cucinavo per chiunque, sfornando dolci dolci e qualcosa di salato, mi sono resa conto che culinariamente parlando ho riservato bene poca attenzione al mio Benjamin Malausséne (l'Omino dei Cantieri). Lui corre e su e giù per corridoi e autostrade, lui gestisce le tormente emozionali prodotte dai suoi vicini di autoclave, lui rimedia per quel che può, lui ingoia rospi per mestiere: e io?
Ben poco. Così, in preda al senso di colpa matrimoniale decido che quella sera lì, avrebbe avuto il suo piatto. Sono mancate le bollicine ma fa uguale.
Siamo una coppia da tantissimo tempo, abbiamo superato guadi e ponti precari, abbiamo combattuto draghi e sciolto incantesimi e siamo ancora qui. A volte traballanti ma ancora in piedi.
E cosa fare per dire a quell'uomo che ci sono, che brontolo ma lo amo pazzamente? Il mood degli ultimi mesi mi ha portato ai fornelli. E così cena romantica per due, nella mia fantasia.
Cosa ci serve? 120gr di riso venere, 200 gr pollo, 230 gr di ananas a fette (in scatola al naturale), 10 gr di pinoli, mezzo gambo di sedano, olio extra vergine, salsa di soia, sale.
Una wok o una padella capiente, una pentola per bollire il riso, un piatto per ospitare pollo e ananas, tagliere e coltellochetaglia.
Qui il coltello è davvero importate, deve tagliare per davvero. Ricordate, fa più dita mozze un coltello mal affilato che una genetica maldestraggine.
Voglio essere onesta, ho usato il riso Gallo. Me ne vergogno ma quello c'era. Pentola con abbondante acqua salata, 15 min di cottura dopo la ripresa del bollore e ci si toglie il pensiero. In una wok ho messo a scaldare l'olio, nel frattempo ho tagliato a dadini il pollo e l'ho tuffato nella pentola per sigillarlo. Dopo un minuto di cottura a fiamma altissima, l'ho abbassata e ho messo l'ananas tagliato anch'esso a pezzettini. Ho aggiunto il sale. Dopo sette minuti ho rialzato la fiamma, ho messo una generosa quantità di salsa di soia e ho aspettato qualche secondo perché rapprendesse la bagna. Ho tolto tutto dal fuoco accomodando pollo e ananas in un piatto. Il bello di queste preparazioni è che non è necessario utilizzare 20 pentole: ne basta una. Passo sotto l'acqua la wok, l'asciugo con la carta assorbente e la rimetto sul fuoco altissimo per far tostare i pinoli. In essi si potrebbe nascondere un velenoso inquilino e una tostatura veloce scongiura un mal di pancia. A questo punto il riso dovrebbe essere quasi cotto. Una volta scolato lo si unisce al pollo, ai pinoli e al sedano tagliato a pezzettini piccoli. Un cucchiaio di olio perché non si ammappi e una volta raggiunta la temperatura ambiente si mette tutto in frigorifero per qualche ora. Questo piatto si esprime al meglio freddo. Anche se assaggiando qua e là durante la preparazione vi renderete conto che è magnifico a qualunque grado celsius!
Come ho scritto questa non è una mia geniale intuizione. È frutto della sapienza e della cura che lo staff di un ristorante mette a disposizione dei propri clienti ogni giorno. Da massaia copiona ho deciso di rivisitarla a modo mio, creando  un piatto unico che risolve qualunque serata o qualunque pranzo del giorno dopo.

Malausséne arriva a casa stanco e umidiccio. Sbircia sul piano di lavoro e vede solo dolci. Gironzola per casa ma trova cibo per altri. E la cena? Apre il frigorifero e in un angolo ritrova il sorriso. 
Quei colori lì li conosce bene. Sono anni che ci raccontiamo che prima o poi avremmo rubato l'idea al Tenutario del Castello. Beh, sono arrivata prima io. Mentre lui, affaticato come un mulo sugli impervi sentieri nepalesi, si dirige verso uno iodico pediluvio, la sottoscritta prepara il tavolo.
Niente candele, niente fiori, noi (lui) non siamo quel genere di coppia lì. Siamo (lui) sul genere Sparta.
Squilla il suo telefono più volte, lavoro, problemi e racconto degli stessi. Il mio piano per una serata romantica è andato a carte quarantotto in dieci minuti. Fa uguale: noi donne di Sparta siamo abituate. Sullo sfondo un cleenex accoglie una mitigata accondiscendenza.


giovedì 28 giugno 2012

Precisazioni sulla pasticceria da blog

Cose belle
Necessito di fare alcune precisazioni, visto il ripetersi di alcune domande.

Prima di sei: questo blog non ha fini commerciali. Non vendo dolci: cucino e distribuisco viveri zuccherosi. Stop. Non ho introiti di nessun tipo da questa divertente avventura. Se non fosse chiaro, pasticcio a spese mie.

Seconda: sì, cucino per gli amici, le persone care, per chi ha bisogno una torta di compleanno. Perché mi va, perché mi piace.

Terza: Psyco perché questo non è solo un cammino verso l'acquisizione di abilità culinarie ma anche e soprattutto un percorso interiore, volto a scoprire e riscoprire qualcosa di me che si era perso o non ancora emerso. L'impegno a fare qualcosa, a seguirlo costantemente e a spenderci del tempo, mi obbliga a tenere una rotta, attraverso regole, prove ed errori. Mi consentono di migliorare capacità cognitive, a sviluppare la creatività e a dominare l'ansia.

Quarta: ma l'hai scritto tu? Sì. È tutta farina del mio sacco. Per restare in tema. Le uniche cose che riporto fedelmente, quando utilizzo ricette altrui, sono le dosi e dove mi sembra il caso, i consigli.

Quinta: perché non scrivi? Lo sto facendo. A casa mia questo si chiama scrivere. Non voglio percorrere altre strade a meno che una casa editrice non mi contatti come succede nei film. Amo scrivere da quando ho imparato a farlo. È terapeutico, liberatorio e il blog mi offre la possibilità, che in altri contesti non mi è stata concessa, di esprimermi con il mio stile. Con le parole obsolete, similitudini, metafore, riferimenti al mio vissuto e a quello di altri, con le parole sbagliate volutamente, con iperboli che con  anni di Pennac e Benni mi sono entrate nel sangue.

Sesta: perché racconti i fatti tuoi? Innanzitutto per me, per elaborarli. Finché una cosa non è scritta o non è detta, o non è condivisa, per me non è vera. Ovviamente per motivi narrativi, qualcosa viene amplificato, modificato o edulcorato, ma fa parte del gioco. Ma come tutte le storie, anche le più inverosimili hanno una base di verità. Ho la speranza che mettendo in rete questi piccoli e logorroici messaggi in bottiglia, oltre ad aiutare me stessa, io possa essere utile a qualcuno che tribola con il forno o con i propri pensieri.

Spero di essere stata esaustiva, spero di aver risposto in modo chiaro alle curiosità di alcune persone.
Per altro chiedete...

lunedì 25 giugno 2012

Macaron proletari alle mandorle, sliding doors

I nostri Macaron
Cosa sarebbe successo se Caterina de Medici non avesse portato in dote al suo Enricuccio di Francia i Macaron? Cosa sarebbe successo se il treno fosse stato in orario e lo Chefinformatico ed io non ci fossimo interrogati sul possibile assalto all'intercity?
La pasticceria francese sarebbe più triste e Parigi avrebbe  un vessillo in meno. La sottoscritta non sarebbe qui a raccontarvi di questi piccoli esemplari da boutique orafa, perché non avrei conosciuto la MiaFata.
Le porte, nell'ultimo anno, si sono aperte e chiuse molte volte. Il significato recondito delle scelte del Destino non sono ancora chiare ma di certo non hanno precluso né la voglia di sognare né la voglia di cercare altre strade. Parlo al plurale perché con la MiaFata condivido, gestisco e organizzo tanti dei miei sogni e tanto della mia vita. Ed è una delle poche persone che voglio in cucina: a casa mia vuol dire Fiducia con la effe maiuscola.
Siamo diverse. Molto. Ma così vicine all'assomigliarci che si cammina insieme da anni, senza inciampare.
Lei è Giovanna d'Arco. Io Cenerentola. Lei combatte, io tramo nell'oscurità. Lei scalpita. Io mugugno.
Lei prende l'iniziativa in tempi brevi. Io elaboro sul medio lungo termine. Insieme siamo un consiglio d'amministrazione perfetto. Siamo le Imperatrici del piano B. Le nostre biografie sono ricche di porte chiuse malamente e di qualche maniglia difettosa: ciò ci ha regalato la capacità di guardare oltre e di mettere insieme i pezzi, costruendo quelli mancanti con molta creatività.
La MiaFata sbarca nel mio regno dei fornelli verso il tardo pomeriggio. C'è una cena da imbastire, ma la vera questione è: "Facciamo i Macaron?". Dagli spalti una ola. Sono mesi che vogliamo provarci, singolarmente e pluralmente. Nigella fa capolino sorniona dallo scaffale. Impensabile fare quelli veri, quelli complicati, quelli da vera patisserie, simil Ladureè. La cuoca d'oltremanica di solito offre soluzioni agevoli a imprese complicate. Pronti, leggiamo gli ingredienti e come due Cappuccette Rosse, usciamo sfidando il caldo e l'umidità. Il cooperativo supermercato è a tre passi, l'aria condizionata è vicina. La lista della spesa è nella mia testa. Non è un buon segnale.
Scanzonate e libere da brutti pensieri vaghiamo per le corsie un po' così... stile gita fuori porta. Nella borsa più che il ricettario, paletta, secchiello e formine.
Ci raggiunge lo Chefinformatico e come i tre Moschettieri, continuiamo a riempire il cestino.
I pistacchi sarebbero l'ingrediente fondante di questa ricetta ma... io non ci sto. Ci sono 35 gradi percepiti e non ho nessuna intenzione di togliere gusci fino a Samhain. Vada per le mandorle già pelate.
Torniamo alla maison. Si parla francese, n'est pas, stiamo facendo i Macaron.
Nigella alla mano, prepariamo gli ingredienti. Quello, quello e quell'altro... gelo. Sono rintronata come una campana. Non solo non ho memorizzato le giuste quantità di zucchero a velo e non ho nemmeno un chilo di zucchero in casa per rimediare. Chefinformatico, scuote la testa e senza dir niente prende le chiavi della macchina e va a recuperarlo nella sua dispensa. Iniziamo bene.
Cosa ci serve? Per i Macaron (20 coppie): 75gr di mandorle, 125 gr di zucchero a velo, 2 albumi grandi, 15 gr di zucchero semolato. Per la crema al burro: 55 gr di mandorle, 250 gr di zucchero a velo, 125 gr di burro ammorbidito, 2,5 ml di aroma all'arancia. Attrezzatura: robot da cucina, fruste elettriche, 2 ciotole, leccapentola, sache a poche con beccuccio liscio da 1 cm, 2 placche da forno, carta forno.
Un consiglio spassionato: NON FATE QUESTA RICETTA IN ESTATE!!!
Prendete le mandorle e tritatele nel robot da cucina con lo zucchero a velo (125gr). Insieme diventeranno polvere simil cipria. Montate i due albumi a neve, compatti ma non fermi, unite lo zucchero semolato, e riprendete il lavoro con le fruste elettriche fino a renderli immobili. Test della ciotola capovolta. A questo punto preriscaldate il forno a 180°. Unite la polvere di mandorle con gli albumi e lavorateli doucement. Foderate le placche con la carta forno e riempite la sach a poche con il composto. In questo punto della ricetta è successo di tutto. Non so usare la sach a poche, l'impasto mi scivolava dal beccuccio (avevo quello sbagliato), mi si è appiccicato sulle mani allergiche... cose che non andrebbero né viste né raccontate: "Quello che importa è il risultato, n'est pas?".  Il come ci si arriva è interpretazione personale. Formate dei dischetti dal diametro di 3,5 cm.
Potete provarci anche con un cucchiaino da caffè. Si può fare ma... come lo Chefinformtico fa notare, si crea una bolla d'aria che non compatta bene l'impasto. Si suggerisce un corso intensivo di sach a poche!
Lasciateli riposare un po', in modo che si formi una pellicina. 10-12 minuti in forno, statico. Passiamo alla crema al burro. Si tritano le mandorle come prima, si lavorano al burro che con sti caldi è già diventato latte condensato e si aspetta il miracolo.
E già. La MiaFata ed io non brilliamo per autostima. Siamo sempre lì a guardare altrove pensando che sicuramente qualcun altro è più bravo di noi. E invece no. In questo caso siamo noi quelle brave, come in tanti altri casi. E diciamocelo almeno una volta. La MiaFata è lì che sbircia i futuri Macaron e quando  pigola la Iaddina, applaude perché... Et voilà les Macarons! La platea si alza in piedi: nel forno ce ne sono tanti e ben dorati. Li lasciamo riposare sulla teglia a temperatura ambiente. Ci vuole pazienza. Una volta raffreddati potete farcirli. Se fa caldo metteteli di corsa in frigorifero.
Nel fare questa ricetta, molte cose non sono andate per il verso giusto. Un po' come è capitato alla MiaFata e a me, in questi anni. Facciamo sempre lo stesso errore: ci fidiamo degli altri. Noi certe cose non le faremmo mai a nessuno... e di conseguenza perché qualcuno dovrebbe proditoriamente usarci, sfruttarci e darci un calcio nel sedere? C'è chi lo ha fatto. C'è chi ci  ha chiuso le porte quando il nostro Grande Sogno stava quasi per realizzarsi.
Tra una mandorla e l'altra ci siamo guardate in faccia. Ci siamo capite. Un'anno fa, di sti tempi, avevamo grandi progetti, grandi speranze.
Pulendo le ciotole, abbiamo sorriso. Sguardo complice, un cambio di rotta? Un nuovo Grande Sogno?
I Macaron sono pronti. Sono belli, quasi da non crederci.
Una bottiglia di spumante più tardi... La MiaFata apre il frigorifero e guarda i Macaron. Ce l'abbiamo fatta davvero: lei con le sue intuizioni geniali, l'aroma di arancia ha svoltato una crema al burro che sarebbe stata troppo dolce, io con la mia passione.
Tenaci e un po' pasticcione abbiamo spuntato, dalla lista delle cose "difficili" da fare, i Macaron.
Un simbolo, un feticcio, un qualcosa che per noi significa molto.
E da qui si ricomincia. Lasciamo sulla strada le Streghe cattive, le Piccole Fiammiferaie, gli Infausti Presagi e riprendiamo a sognare. Sia quel che sia. Il Destino sa già, da qualche parte è già scritto, che fosse a sessant'anni, o alla casa di riposo, i nostri progetti prenderanno forma magari cambiando destinazione.
Le parole a volte sono superflue. Raccontare di quanto io le voglia bene, di quanto io mi ritenga fortunata ad averla con me, di quanto siano belle le fragilità che solo tra amiche si mettono a nudo, di quanto io mi senta protetta in quel mezzo metro di altezza che ci separa... potrebbe essere superfluo ma oggi ci sta. La MiaFata, alta, bella e forte mi tiene stretta nonostante il caldo.
Prossima mission, questa volta, con temperature prossime allo zero, i Macaron veri, les ètoiles.

Dalla cucina urlo allo Chef: "Guarda su internet, non è che Ladureè ha già dichiarato fallimento?".
Una risata cinica mi dice di no. Ma nella mia fantasia, nel nostro piccolo mondo alternativo, Ladureè siamo noi, meglio ancora, Pierre Hermè al cubo. E chi ha orecchie per intendere intenda, due donne in credito con il mondo, se ben indirizzate posso cambiare una mano di poker con un colpo di mascara. 


giovedì 21 giugno 2012

Rebuilder, passare oltre e perdonare

Qualche anno fa

Mi sono sempre definita vendicativa, rancorosa, poco incline al perdono.
Mammamivuoibene e Papàsenzadna mi hanno sempre abbracciata durante le mie rivendicazioni contro il destino, i Cattivi e le brutture della vita. Perdona, mi hanno sempre detto. Perdona, datti pace.
Ho sempre detto no. Assetata di vendetta? Non esattamente. Di giustizia. Avrei voluto, negli anni, avere il diritto di dire a chi mi ha fatto tanto soffrire che, per l'appunto mi ha fatto soffrire. Togliendomi gioia e spensieratezza negli anni più belli di un infante. Avrei voluto mettere i puntini sulle I a tutte quelle persone che mi hanno detto: no, non sei capace, non ce la farai mai, se inadeguata, non hai le capacità. A quella persona che mi ha rinchiuso in un angolo, facendomi vergognare di quello che ero, di quello che sono.
Ringraziando gli Dei, la consapevolezza, seppur tardiva, da qualche parte spunta fuori.
Rebuilder e i suoi occhioni, ne sono stati gli inconsapevoli artefici. Anche questa volta.
Sono in arcidebito con questa donna. Nessun Tiffany potrà mai ripagarti, ma se lo vuoi te lo ordino su internet.
Chissà perché ho rispolverato qualcosa del mio passato tra il Reformer e la Cadillac. Salta fuori che una delle mie Streghe Cattive, ha faticato in quella che per me era un'isola felice.
Non l'ho presa bene. Ho avuto paura. Paura di incontrarla. Paura che tutta quella mia voglia di giustizia potesse saltar fuori in un luogo dove la pace regna sovrana.
La lezione si è trasformata in una seduta di psicanalisi. E sul lettino, c'ero io.
Sudo, mi affatico, gli addominali lavorano mentre la mente ripercorre immagini che non amo rispolverare.
Rebuilder, animo nobile, mi propone il suo punto di vista. Se non fossi coinvolta in vicende dolorose sarebbe anche il mio. Non sono ipocrita e le mani iniziano a tremarmi. Rabbia.
Ci sto lavorando su ed è per questo che è così presente nella mia vita.
Mi guardo nello specchio. Ma voglio davvero avere ancora paura del passato? Voglio davvero restare imbrigliata in quei sentimenti negativi? Mi serve portarmi appresso la zavorra mia e di tutti gli altri esseri problematici che in cui sono inciampata? Ebbasta!
Hanno ragione la mia mamma e il mio papà (non bio): Datti pace!
E così farò. Pian pianino lo farò.
Sono rimasta scombussolata tutto il giorno. Ho riempito di colore un disegno che doveva essere leggero, ho tracciato segni pesanti con il pennello ove sarebbero state richieste ali di farfalla.
Ho fatto fatica a prendere sonno, e non era il caldo.
Quando si parte per una grande impresa c'è fermento. La preparazione, la strategia, i bagagli.
Mumble. I bagagli magari no. Un bel sorriso e tanti bei respiri.
Passo oltre, vado avanti. Perdono.
E mi riapproprio di me. Tendo la mano a quella bambina chiusa nel bagno della scuola e l'aiuto a rialzarsi.